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Paola Di Caro per il "Corriere della Sera"
Che non volesse nemmeno tornare da Malindi, dove «vi assicuro, si sta benissimo, dovreste venirci» e che voglia tornarci al più presto, forse già per il fine settimana nonostante i suoi lo scongiurino di non farlo, è forse il dato che più dà il senso di quello che è oggi il Pdl per Berlusconi e Berlusconi per il Pdl. Un peso, una grana, una noiosa incombenza per lui.
Un'ancora a cui aggrapparsi per non affondare per loro. Per questo, ieri è servito un lunghissimo vertice a palazzo Grazioli (presenti Letta, Verdini, Cicchitto, la Gelmini) per convincere il Cavaliere - se non a sposare la via delle primarie ormai praticamente indette e impossibili da cancellare pena la totale delegittimazione del segretario - almeno a non mettersi di traverso, a non boicottarle, a non far affondare il partito senza prima aver allestito una qualsiasi scialuppa di salvataggio.
Certo, a quanto raccontano Berlusconi è stato subito chiaro: sui finanziamenti, che non sarebbero arrivati da lui; sulla formula (originaria) delle primarie che ricalcavano quelle del Pd e che «sono roba che il nostro elettorato non capisce, politichese, impossibile da importare senza che diventino un flop»; sul fatto che, se la richiesta era l'entusiasmo, da lui non sarebbe arrivato.
Nelle lunghe ore di discussione (dedicate anche al tema della legge elettorale) Alfano ha dunque dovuto sudare per convincere il Cavaliere che, a questo punto, non c'è altra soluzione possibile per tutti che tenerle, le primarie: «Io non posso tornare indietro - il refrain -, o a perdere saremmo tutti, anche tu presidente».
E per ammansire il leader svogliato e, raccontano, distratto e visibilmente lontano dal tema, ecco tutti a spiegare per filo e segno i vantaggi di una competizione «all'americana» che «sicuramente sarebbe più adatta al nostro elettorato», che «imporrebbe ai nostri sul territorio di mettersi a lavorare a testa bassa, anche in chiave di campagna elettorale», che «ci permetterebbe di tenere di fatto tante convention, di cui una finale, grande, davvero all'americana, a febbraio, per inaugurare la campagna elettorale».
Parole che in qualche modo hanno, se non convinto, almeno un po' rassicurato Berlusconi, ignaro - come ragiona un big del Pdl - del «rischio che le primarie si trasformino in una conta interna al partito e una cristallizzazione delle correnti», rischio peraltro considerato altissimo dai candidati alternativi ad Alfano, dalla Santanchè a Galan al leader dei «rottamatori» Cattaneo.
Ma tant'è, Berlusconi lascia fare. Secondo alcuni, perché «in fondo, se il meccanismo procede, potrebbe parteciparvi pure lui a questa sorta di mega-convention con palloncini e cotillons», secondo altri perché l'unico suo obiettivo è un altro: «Far implodere il Pdl, magari sabotandolo con la candidatura del suo amico imprenditore Samorì, per poi lanciare all'ultimo momento la sua lista che, lui ne è convinto, prenderà comunque il doppio dei voti del Pdl, fossero anche il 10% contro il 5%».
Impossibile avere certezze. La verità , confida Galan, è che «tutti vorremmo che lui avesse un meraviglioso coniglio nel cappello», ma nessuno ha certezze nemmeno sull'esistenza del cappello. E così si va avanti per salvare il salvabile, guardando anche oltre. La Gelmini lo dice chiaramente quale sarebbe lo scenario migliore: «Alfano alla guida del partito, Montezemolo candidato premier», sempre che non si candidi Monti, perché «lui a differenza dei suoi ministri» è un ottimo politico e farebbe la differenza. E la sua posizione potrebbe trovare rappresentanza nella candidatura alle primarie, se Alfano rimarrà troppo ancorato «agli ex An», come gli rimproverano tanti nel partito.
E Berlusconi? Qualcuno pensa che non sia lontano solo dal suo Pdl, ma anche dalla politica tout court, ormai. Secondo il kenyano The Daily Standard, infatti, le frequenti visite a Malindi non sarebbero dovute solo alla necessità di relax e di remise en forme, ma anche a investimenti milionari da fare in zona, in un mega villaggio turistico sul modello del Billionaire dell'amico Briatore. Quell'amico che lo affianca ovunque, e sul quale lo stesso ex premier avrebbe fatto sondaggi: «Come lo vedreste a capo di una lista?». Domande che lasciano una scia di sconcerto in un Pdl sempre più stremato.
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