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Annalisa Cuzzocrea per la Repubblica
beppe grillo davide casaleggio
La mossa di lasciare il partito euroscettico di Nigel Farage e cercare un’intesa con i liberali filoeuropeisti di Guy Verhofstadt è stata decisa a tavolino nella sede della Casaleggio Associati. E a farlo sono state tre persone: Davide Casaleggio e Beppe Grillo, ovviamente (che oggi saranno a Bruxelles). Insieme all’unico europarlamentare che fino a ieri ne era a conoscenza, David Borrelli, triumviro - insieme a Casaleggio e Max Bugani - dell’associazione Rousseau. La struttura che dalla morte di Gianroberto Casaleggio gestisce il cuore pulsante dei 5 stelle: la piattaforma software e il crowdfunding.
È una mossa strategica che porterà al Movimento più fondi e peso all’interno del Parlamento europeo. O anche - malignano a Bruxelles - una vicepresidenza per la quale starebbe studiando l’eurodeputato romano Fabio Massimo Castaldo. Ma è soprattutto una decisione che sposta i 5 stelle dallo scacchiere dei movimenti di protesta a quello di chi si prepara a governare e cerca convergenze con mondi finora combattuti.
La scelta di tenere all’oscuro gli altri europarlamentari è stata fatta per evitare fughe di notizie. Tutti erano al corrente delle trattative per lasciare Ukip, partite già a settembre dopo numerosi scontri interni. Nessuno sapeva della decisione di Grillo di andare in direzione opposta a quella dettata dai 7 punti del programma con cui i 5 stelle si erano candidati a Strasburgo. Così, si vota on line all’improvviso, tacendo informazioni che - per una volta rivelano i parlamentari più arrabbiati.
Il primo a intervenire è l’ex esponente del direttorio Carlo Sibilia che - sui social - ricorda come l’Alde sia un partito che aveva definito il programma 5 stelle «profondamente anti europeo, irrealistico e populista». E non basta che Guy Verhofstadt cancelli - come ha fatto ieri - il post Facebook in cui diceva che nessun partito responsabile avrebbe dovuto accogliere la pattuglia grillina. Perché le posizioni dell’Alde, il Movimento, le conosce bene per averle sempre contrastate: a partire dall’appoggio al Ttip, il trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti. «Meglio preservare la nostra identità che andare in un gruppo che ci ha massacrato fino a ieri», spiega Sibilia. «E poi che scelta politica è? Farage vince con la Brexit e appoggiando Trump, e noi lo molliamo? Non capisco».
Non capiscono in molti. Come il senatore Nicola Morra che twitta «meglio soli che male accompagnati, anche in Europa». Insieme a un altro senatore come Marco Scibona. E ai deputati Ivan Della Valle, Mirella Liuzzi, Tiziana Ciprini, Giuseppe Brescia, oltre ai palermitani “sospesi” Claudia Mannino e Riccardo Nuti. Non capiscono gli iscritti che riempiono di critiche il post sul blog e le pagine Facebook di chi lo rilancia, come il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio. Chi è vicino ai vertici prova a rassicurare: «È un’alleanza funzionale, non politica». «Non svenderemo i nostri valori», dice Manlio Di Stefano. «Manterremo la nostra libertà di voto», spiega l’europarlamentare Ignazio Corrao.
Ma un altro eurodeputato, Marco Zanni, mette nero su bianco l’assurdità dell’essere stati tenuti all’oscuro. E nelle risposte a chi lo critica dice chiaro: «A parte quello di estremamente schifoso che rappresenta Alde, qui prima di tutto è il metodo che non va».«Questa non è democrazia».
cbi09 guy verhofstadt premier belga
Una rivolta. Neanche silenziosa. «La verità - spiega l’ex capo comunicazione in Europa Claudio Messora - è che l’Alde non è come l’Ukip. Due anni fa erano stati chiari: se si sta insieme si condividono gli stessi valori, chi vota in dissenso è fuori. Ora l’M5S che farà? Non voterà alla presidenza il suo nuovo capogruppo Guy Verhofstadt? Questa svolta è stata preparata: prima gli incontri di Di Maio con i lobbisti, poi il pranzo all’Ispi con Monti, i complimenti in tv dell’ex premier a David Borrelli. E la modifica in una notte del post in cui definivano l’euro “il cappio al collo da cui liberarsi”. Cancellato. L’obiettivo - dice Messora - è diventare una nuova grande Dc».
Il dissenso in realtà è ampio, ma per com’è fatto il post - con tre opzioni tra cui scegliere - è facile che gli oppositori si spacchino in due. E che prevalga la scelta dei vertici.
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