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Ilaria Maria Sala per "la Stampa"
Attenzione: «forze ostili» stanno cercando di «occidentalizzare» la Cina, dice un lungo articolo del Presidente Hu Jintao sull'ultimo numero della rivista Qiushi, o «ricerca della verità », principale organo teorico del Partito comunista cinese, e vanno combattute a suon di propaganda e cultura ufficiale.
L'articolo, immediatamente rimbalzato tanto sui siti di microblogging come Twitter (bloccato in Cina ma utilizzato da molti «scavalcatori» del muro di censura) e Weibo (versione cinese di Twitter) che sulle agenzie di stampa nazionali ed estere, è una specie di conferma di quanto già indicato dalle numerose iniziative volte a rafforzare la propaganda all'interno e all'esterno della Cina, ma aggiunge alcuni nuovi dettagli non pensati certo per compiacere gli osservatori internazionali.
Un chiaro disegno destabilizzatore sarebbe, secondo il Presidente cinese, celato dietro tanto l'espandersi di Internet che di altre «forze ostili» mascherate da cultura pop, che cercano di «occidentalizzare» e perfino dividere la nazione, andando a colpire i campi «ideologici e culturali».
Dunque, la risposta della Cina deve essere tanto interna che esterna: all'interno, Hu Jintao ha detto che la «costruzione della cultura è un aspetto fondamentale del concretizzarsi del socialismo con caratteristiche cinesi», utilizzando parole che suonano senz'altro un po' bizzarre, ma che indicano la volontà di approfondire il lavoro propagandistico per evitare che i cittadini cinesi cerchino altrove stimoli intellettuali che potrebbero portarli a mettere in discussione il sistema.
L'azione, però, deve essere doppia, e deve anche di cercare di cambiare l'immagine cinese all'estero. Quest'ultimo è un progetto intensificatosi dopo che Pechino rimase scioccata davanti all'ostilità con cui la torcia olimpica venne ricevuta intorno al mondo nel 2008. Fu l'occasione per i funzionari del Dipartimento di Propaganda nazionale di vedere, forse per la prima volta, quanto i problemi riguardanti i diritti umani, la questione tibetana e il ricordo di Tiananmen abbia influenzato la visione che il mondo ha del Paese.
Reagendo allo choc, Pechino ha deciso di cercare di cambiare quello che l'opinione pubblica internazionale pensa tramite uno dei suoi più affinati strumenti: la propaganda. Con un significativo stanziamento di fondi, ecco che vengono creati numerosi Istituti Confucio in giro per il mondo (una quindicina dei quali anche nelle università italiane, dove offrono corsi di cinese e varie iniziative volte a far conoscere meglio la cultura cinese ufficiale), e si espandono i media cinesi in lingue estere. Infatti Pechino ha stanziato 5.5 miliardi di euro per televisioni in varie lingue (già operative quella in arabo, russo e inglese), e per ampliare gli uffici internazionali dell'agenzia di stampa Nuova Cina, assumendo anche personale non cinese.
La spinta propulsiva della Cina ufficiale verso il mondo continua anche con grossi investimenti nel cinema, visto come un'ulteriore testa d'ariete nell'impegno governativo per diffondere una visione «cinese» delle cose. Così, l'ultimo film di Zhang Yimou, «I Fiori della Guerra», costato 100 milioni di dollari e finanziato dallo Stato, è stato concepito come il candidato cinese agli Oscar, dato che fino ad ora nessun film cinese ha ottenuto l'ambita statuetta americana.
Lo scrittore Chan Koonchung, autore del libro «Shengshi» (un volume di fantascienza, non ancora tradotto in italiano, dove una Cina del futuro domina sul resto del mondo), dice: «La Cina, al momento, ha un bisogno quasi patologico di essere complimentata. L'assenza di approvazione internazionale per la sua politica la sfinisce, la consuma, e per questo stanno investendo tanto nella propaganda all'estero».
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