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Ivo Caizzi per il “Corriere della Sera”
Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan esclude in modo netto la possibilità di non rispettare il vincolo Ue del 3% del Pil per poter investire fondi pubblici nel rilancio della crescita e dell’occupazione.
«Pensare che sfondare il tetto del 3% possa produrre più crescita è profondamente sbagliato – ha dichiarato Padoan da presidente di turno dell’Ecofin a Bruxelles dopo le voci di discussioni in corso a Palazzo Chigi sull’argomento -. Dal punto di vista della convenienza economica produrrebbe un’immediata inversione di tendenza del debito pubblico per la reazione negativa dei mercati. E questo ci arriverebbe immediatamente addosso. Sarebbe un onere che non possiamo permetterci».
Padoan appare in sintonia con la linea ribadita anche ieri da «rigoristi» come la cancelliera tedesca Angela Merkel e il vicepresidente finlandese della Commissione europea Jyrki Katainen. Ha promesso il «deficit al 2,6% del Pil nel 2015». Condivide l’urgenza di rilanciare «la crescita» in una Italia in recessione, con alto debito e record di disoccupati. Ma ritiene che possa essere generata con «la combinazione delle riforme strutturali e lo stimolo agli investimenti privati».
All’Ecofin sono stati presentati 2 mila progetti di investimenti per un valore di 1,3 miliardi di euro, che si scontrano con i soli 8/16 miliardi di garanzie Ue e 5 miliardi di prestiti della banca Bei emersi dal piano della Commissione Juncker (da ripartire tra 28 Paesi). Padoan ha replicato che le garanzie pubbliche, accollandosi «i rischi» dei progetti, possono attirare ingenti capitali privati. A preoccuparlo è la mancanza di «fiducia reciproca» tra gli Stati membri, che non favorisce le iniziative comuni.
L’Ecofin ha approvato un emendamento per contrastare le multinazionali che fanno girare gli utili e i costi tra società collegate, domiciliate nei paradisi fiscali, per ridurre o azzerare il pagamento delle tasse nei Paesi Ue dove incassano. Ha ratificato l’estensione dello scambio automatico di informazioni sugli evasori fiscali, che lascia però aperti dubbi sulle scappatoie già elaborate da alcune banche offshore, sull’assenza di precise sanzioni e sul rinvio al 2017 della fine del segreto bancario in Lussemburgo e Austria.
La presidenza italiana non è riuscita a far approvare la tassa sulle transazioni finanziarie voluta da 11 Paesi (tra cui Germania, Francia e Italia). Il prelievo sui derivati finanziari ha portato al rinvio. Alcuni ministri difendono giganteschi volumi speculativi di banche nazionali. Altri temono per l’enorme esposizione dei loro governi nell’utilizzo di questi strumenti finanziari nella gestione del debito pubblico. L’Ecofin ha anche definito gli apporti delle banche al fondo di salvataggio del settore.
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