DAGOREPORT - L’ASSOLUZIONE NEL PROCESSO “OPEN ARMS” HA TOLTO A SALVINI LA POSSIBILITA’ DI FARE IL…
Sergio Rizzo per la Repubblica
C' è una sorpresina, nella consueta delibera con cui l' Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni stabilisce alla vigilia di ogni elezione le regole dell' informazione politica durante il periodo di campagna elettorale. Sei piccole righe, annegate nella valanga di articoli e commi preceduti da una sfilza di "visto", "vista", "considerato", "effettuate" e "udita", che però introducono un principio assolutamente inedito: quello per cui la par condicio si applica anche ai giornalisti.
Le sei righe sono nell' articolo 7: «È indispensabile garantire, laddove il format della trasmissione preveda l' intervento di un giornalista o di un opinionista a sostegno di una tesi, uno spazio adeguato anche alla rappresentazione di altre sensibilità culturali in ossequio al principio non solo del pluralismo, ma anche del contraddittorio, della completezza e dell' oggettività dell' informazione stessa, garantendo in ogni caso la verifica di dati e informazioni emersi dal confronto».
Proviamo a tradurre. Se durante un talk show viene invitato un giornalista che esprime un' opinione favorevole, poniamo, alla legge Fornero sulle pensioni, dev' essere presente un altro giornalista che sostenga il contrario. Non solo per una questione di pluralismo, a ben vedere l' unica che dovrebbe importare visto che siamo in campagna elettorale, ma anche del contraddittorio. Oltre, ovviamente, della completezza e dell' oggettività: regole fondamentali per una corretta informazione, che in effetti non sempre sono rispettate fino in fondo nei talk show che inondano le reti private cui si riferisce la delibera. Dove invece è proprio il contraddittorio a non mancare mai.
silvio berlusconi e bruno vespa (2)
Il sale di quelle trasmissioni, infatti, è proprio la differenza e il contrasto delle opinioni. Anche molto vivace. Anzi, più vivace è, meglio funziona per l' audience. Senza però che questo comporti l' obbligo per questo o quel giornalista di essere formalmente incasellato nell' uno o nell' altro schieramento politico. Cosa che invece puntualmente accadrebbe grazie a quelle sei righe.
Finora chi invitava un esperto, opinionista o giornalista, a un dibattito televisivo in campagna elettorale, doveva accertarsi che non fosse candidato. D' ora in poi e fino alle elezioni un giornalista che venisse invitato a un dibattito televisivo per parlare di un argomento qualsiasi, dai vaccini al debito pubblico fino al fatto di cronaca, sarebbe invece trattato di fatto come un politico.
E chi lo invitasse dovrebbe chiedergli prima di tutto: « Come la pensa sui vaccini, sul debito pubblico, sul delitto di via Poma? » . Anche se le sue opinioni sono soltanto opinioni personali, e magari è favorevole allo Ius soli esclusivamente per un fatto di civiltà ma non è un elettore del Partito democratico o di Liberi e Uguali. Oppure è contrario pur non votando per Matteo Salvini.
Senza contare i problemi tecnici che comportano quelle sei righe. Come si certifica la posizione di un giornalista a proposito di un certo argomento? C' è un modulo da riempire, una dichiarazione da firmare? Dall' Agcom si fa sapere che la cosa riguarda solo i giornalisti che sostengono esplicitamente una tesi, e non gli altri: ma come si distinguono? Per capirlo, non resta che leggere la nota con cui l' autorità presieduta da Angelo Cardani dovrebbe oggi darci una doverosa spiegazione di questa strampalata novità. Speriamo solo che la toppa non sia peggiore del buco.
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