
DAGOREPORT – PUTIN NON PERDE MAI: TRUMP ESCE A PEZZI DALLA TELEFONATA CON “MAD VLAD”. AVEVA…
Maria Giovanna Maglie per Dagospia
new york post endorsement per trump
La campagna presidenziale che non finisce mai è arrivata nella città che non dorme mai, e sta dando grandi soddisfazioni all’outsider Donald Trump, insieme all’ultimo sondaggio di Foxnews, che lo dà al 45 per cento contro un Ted Cruz al 27 e un John Kasich al 17, mentre nello stesso sondaggio ci sono addirittura solo due punti, 48 a 46 per cento, di distacco tra i democratici Clinton e Sanders.
Il voto di New York, 19 aprile, 95 delegati repubblicani, 291 democratici, non è mai stato così importante, e non è solo questione di racimolare delegati preziosi, è questione di popolarità, visibilità, affermazione dei New York values, il modo di vivere e pensare della Grande Mela, che è una strana bestia, liberal eppure pronta ad affidare l’amministrazione a sceriffi cattivi quando in gioco c’è la sicurezza, come ha fatto con Giuliani e Bloomberg, salvo poi prendersi il lusso del radical hippy De Blasio, attuale sindaco.
donald trump con melania ivanka e il marito
Non si capisce bene se il texano battista Cruz, dopo un paio di incontri andati a male nel Bronx tra i latinos, abbia rinunciato alla città per visitare le periferie del grande Stato, o abbia proprio scelto di concentrarsi sul gioco un bel po’ sporco dei superdelegati, dei voti trovati a tavolino grazie all’aiuto del vertice del partito, indispensabili a questo punto anche per la Clinton.
Certo, c’è un gran traffico a New York City. Hillary prende la metropolitana debitamente scortata, ha casa appena fuori, nel suburbio chic di Westchester; tutti mangiano per strada, Cruz a Brighton Beach, Kasich ha esagerato con spaghetti, sandwich e pasta e fagioli ad Arthur Avenue, Sanders, che è nato a Brooklyn figlio di profughi ebrei, al Brooklyn Diner.
donald trump campagna nello stato di new york
Sanders ha appena finito un dibattito molto aggressivo con la Clinton sulla Cnn, oggi è a Roma per parlare all’Accademia pontificia, e piccolo giallo fino a sera, non si sa se monsignor Marcelo Sánchez Sorondo, l’argentino amico del pontefice che lo ha invitato a dissertare di rispetto dell’ambiente, riuscirà o no a fargli incontrare papa Bergoglio, da lui tanto amato, magari a Santa Marta dove si ritira la sera, alla faccia di padre Lombardi che ha ufficialmente smentito qualunque incontro.
bernie sanders hillary clinton
Trump furoreggia fra sondaggi buoni, endorsement del New York Post, lo squalo Murdoch si è deciso, editoriale vigoroso scritto di suo pugno per il Wall Street Journal sui delegati vinti senza elettori di Cruz, ma non gli serve di andare troppo in giro, visto che è a casa sua. La storia dei New York values l’ha tirata fuori, e ora se la piange, proprio Ted Cruz, accusando Trump di esserne portatore; intendeva, da beghino qual è, lassismo, omosessuali, promiscuità, soldi di Wall Street, ma uno che c’ha la moglie che lavora come alto dirigente da Goldman Sachs lo guardano una volta e poi lo scansano.
bernie sanders hillary clinton
Oggi the Donald si gode l’endorsement in prima pagina del New York Post, che vuol dire molto per la città, mentre per noi vuol dire che Murdoch il politically correct ossequiente di PittiBullo lo fa solo in Italia. L’articolo è molto efficace e suona onesto anche nel sottolineare le critiche, è interessante per capire quali aggiustamenti il candidato, se sarà nominato, dovrà fare negli ultimi mesi per rompere il muro di ripulsa del partito repubblicano.
Leggiamo insieme. Donald Trump è un novellino, che fa errori da novellino, urge aggiustamento in vista della campagna d’autunno: meno improvvisazione, meno risposte brutali, più informato, più disciplinato, pelle più dura. Ma Trump ha scosso gli elettori, ha restituito energia, ha riportato milioni di persone al voto nella convinzione che ci sia un candidato che combatterà per loro.
bernie sanders hillary clinton
E’ un newyorchese nato e cresciuto, che porta un messaggio vitale sia pur in modo imperfetto, che riflette il meglio dei valori di New York e offre la speranza migliore per gli americani che si sentono traditi dalla classe politica. Trump- scrive ancora il Post- è l’uomo del fare, ha creato lavoro per migliaia di persone dimostrando che un privato con l’approccio giusto può superare gli ostacoli della burocrazia. A quelli che non ne possono più di strapotere delle lobby, di governi che ignorano i bisogni popolari, offre una speranza.
Veniamo agli errori, nell’editoriale del Post. Ritirare le truppe da Giappone e Corea del Sud è uno sbaglio, li spingerebbe al nucleare, meglio ripensare l’impegno con cautela. Controllare il confine dovrebbe essere un dovere di Washington, ma il muro è una soluzione troppo semplicistica per una nazione di immigranti.
Il commercio deve tornare vantaggioso per l’America, ma ricordiamoci che merci a buon mercato vanno ai meno abbienti e sfidano l’industria nazionale a migliorare. Il linguaggio di Trump è troppo spesso da dilettante, è rozzo, ma è così che parla un non politico di professione, ed è proprio la non correttezza politica, l’idea che non sia uno di loro, ad attirare.
Perciò quelli del Post, e segnatamente l’impero Murdoch, si aspettano che Trump abbia nei prossimi mesi la capacità di restare quello che è per i suoi elettori, ma di riuscire a parlare a quelli che ancora non sono convinti. Ha la capacità, le qualità, la preparazione i valori per realizzare lo slogan della sua campagna: fare di nuovo grande l’America. Il New York Post lo appoggia e invita a votarlo martedì 19 alle primarie del GOP.
Se Trump piglia fiato, cadute anche le accuse stragonfiate al suo manager di aver maltrattato una giornalista, Bernie Sanders in volo per Roma medita sul risultato non chiaro del duello alla Cnn con una Hillary Clinton che dovrebbe con urgenza cambiare stilista, questo è certo.
La sua platea, la sinistra dem, ha fatto troppo rumore, ha coperto le voci, dato al dibattito un’aria nervosa e confusa. Anche Sanders ha strillato troppo, ehi, sei un senatore del Vermont, siedi potentemente a Washington, non puoi fare Trump, e non ha convinto su Israele, che detesta essendo ebreo, sulle armi, per il cui controllo al Senato non ha combattuto, sulla vexata quaestio dell’aborto, da lui poco toccata; ha dominato su pasticcio della Libia, vero tallone d’Achille dell’avversaria, potere e controllo di Wall Street sull’avversaria, salario minimo e trivelle, guarda un po’, un casino anche lì.
Ma, come commenta Jon Favreau, a lungo speechwriter di Obama, chiunque abbia detto a Bernie di fare tutto il tempo il cattivo e l’arrabbiato, gli ha dato un pessimo consiglio. Alla fine però è sempre la stessa storia: la Clinton esegue a perfezione, sa le cose, ma è il personaggio dell’establishment, lui incarna in qualche modo cambiamento in una campagna che lo chiede come il pane. Lei è la maggioranza centrista del Partito Democratico, lui l’uomo della sinistra.
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