
FLASH! - IL DILEMMA DI GIORGETTI: IL CAPO DELLE PARTECIPATE DEL TESORO E SUO FEDELISSIMO, MARCELLO…
Susanna Turco per "l'Espresso"
1. ANDREA RICCARDI (Cooperazione internazionale) Viaggia molto, parla molto, concentra in sé molte deleghe. Esclusa la gaffe sulla «politica schifosa», è il volto rassicurante del governo, nel senso che non sembra un alieno prestato ai Palazzi. Di concreto, a parte il recente sblocco dei fondi per la famiglia? Basta guardare il suo sito: incontri, discorsi, eventi, convegni, comparsate tv... Tutto quello che riguarda il ministro è minuziosamente elencato, competenze comprese. Ma nella home page del dipartimento Gioventù (una delle sue deleghe), campeggiano ancora i provvedimenti varati ai tempi della Meloni.
2. FRANCESCO PROFUMO (Università ) Ha faticato a dimettersi dal Cnr, fatica assai a distinguersi dal suo predecessore. Risultato: la riforma Gelmini continua a mietere i suoi perversi effetti, nella scuola come nell'università , e dell'invocata discontinuità non s'ha traccia. E mentre gli italiani (consultati on line dal Miur) gli bocciano l'idea di abolire il valore legale della laurea, il ministro scopre (dalla moglie insegnante) che, ohibò, assegnare le versioni di latino è inutile perché «gli studenti le trovano su Internet». Così, annuncia deciso: «Basta con i compiti a casa».
3. PIETRO GNUDI (Turismo e sport) Non abbiamo le Olimpiadi, però vedrete che corse campestri. Eccolo, in sintesi, il Gnudipensiero. L'aspirazione, ripete lui nelle rare interviste, essere il «ministro della pratica sportiva» (non della teoria, si badi): più educazione fisica nelle scuole, più attività motoria per gli anziani (il Piano è atteso per giugno) e punto. Simpatico spettatore al governo, non aggredisce la realtà , però la osserva: Roma 2020 era prima un «sogno», poi un «dispiacere»; la legge sugli stadi «una priorità »; il turismo qualcosa da «rilanciare»; il disastro al Marassi «una brutta pagina». Vantaggio: nemmeno la realtà si cura di lui.
4. LORENZO ORNAGHI (Cultura) Pare che non ne possa più di essere chiamato «professore Ponzio» (nel senso di Pilato) e di farsi inseguire da vignette con la sua effigie e la scritta "chi l'ha visto?". «Mi sento come in una giungla del Vietnam, non si capisce da dove ti sparino addosso», si è lamentato. In effetti, gli sparano da ogni direzione. Così, tanto per rilanciarsi, ha avviato il commissariamento del Maxxi di Roma. E il Cam di Casoria che brucia le opere per sollecitare un suo intervento? «Non è di competenza del Mibac». Che il suo dichiarato «obiettivo immediato» sia «la pesca al luccio» è, in fondo, rassicurante.
5. PIERO GIARDA (Rapporti col Parlamento) Ora che s'è attivato sulla spending review, persino Renato Schifani s'è tolto lo sfizio di dirgli - fingendo di incoraggiarlo - quel che i politici dicono o pensano: «Si sbrighi, magari si faccia aiutare». Il ministro dei rapporti col Parlamento, infatti, ha col Parlamento un pessimo rapporto. Entra maldestro nel gioco («Vi dico subito che ammetteremo quattro emendamenti»), s'impiccia, s'imbroglia, esita (le riunioni dei capigruppo si son fatte interminabili). O, al contrario, come è accaduto al vertice col gotha dei ministeri la settimana scorsa, parla mezz'ora solo lui, poi se ne va.
6. GIULIO TERZI DI SANT'AGATA (Esteri) L'hanno nominato ministro, si muove come l'ambasciatore (pur ottimo) che fu. La sua gestione, dai marò al blitz degli inglesi in Nigeria, ha scatenato inconfessabili moti di nostalgia per la berlusconiana politica del cucù. Isolato in Consiglio dei ministri, scavalcato come referente interno dai suoi sottosegretari Dassù e De Mistura, commissariato dalla politica che l'ha costretto (con l'avallo di Monti) a un tavolo permanente coi responsabili esteri di Pdl, Pd e Terzo Polo, s'è risospinto alla Farnesina a occuparsi di nomine e protestare per i tagli. Ambasciatore tra gli ambasciatori.
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