DAGOREPORT – REGIONALI DELLE MIE BRAME! BOCCIATO IL TERZO MANDATO, SALVINI SI GIOCA IL TUTTO PER…
Massimo Franco per il “Corriere della Sera”
Si nota una certa sfasatura tra le parole chiare di Sergio Mattarella e di Mario Draghi sulle responsabilità del Cremlino nell'aggressione all'Ucraina, e i distinguo crescenti che spuntano nella maggioranza. Si ripropone l'afflato pacifista di leader come il leghista Matteo Salvini, che di colpo ritiene di trovare una singolare sintonia con papa Francesco: come se politica e religione operassero sullo stesso piano.
E si salda con l'ambiguità sulle armi a Kiev di quello del M5S, Giuseppe Conte; e con l'esaltazione della «pax cinese» da parte del fondatore Beppe Grillo. Sono posizioni dietro le quali si indovina la tentazione di prendere le distanze dall'atlantismo del Quirinale e di Palazzo Chigi; ma anche della Farnesina guidata da un grillino, Luigi Di Maio, oltre che del Pd di Enrico Letta.
E proprio mentre si annuncia la visita di Draghi a Washington per il 10 maggio; e dopo che ieri Mattarella al Consiglio d'Europa ha rivendicato una politica «senza incertezze», additando la Russia come una nazione che «ha scelto di collocarsi fuori dalle regole a cui aveva aderito con l'atroce invasione dell'Ucraina»: pur facendo una distinzione col «popolo russo».
sergio mattarella discorso al consiglio d europa 1
Sono scricchiolii politici che riflettono calcoli elettorali e insieme riflessi culturali. Confondono una trasversale voglia di pace e la tendenza a scaricare sull'Occidente una parte di responsabilità per quanto avviene: con Stati Uniti e Nato additati di fatto come responsabili in seconda battuta della guerra di Vladimir Putin.
E così, un Salvini schierato su un crinale ambiguo tra Ue e Russia chiede «un incontro di tutti i leader per parlare di pace. Si parla solo di razzi e missili», protesta. «Io non voglio andare incontro a una Terza guerra mondiale». Quanto a Conte, risucchiato sulle posizioni euroscettiche del 2018, prima di fare il premier, chiede che il Parlamento si pronunci sull'invio di altre armi a supporto dell'Ucraina.
Sono smarcamenti che il governo tende a ignorare, proseguendo su una strategia lineare di aiuti a Kiev, in sintonia con gli altri alleati europei, con gli Stati Uniti e l'Alleanza atlantica. Ma c'è da chiedersi che potrebbe accadere se, sulla scia di queste prese di posizione, si verificasse un incidente in Parlamento sulla politica estera. Mediare diventerebbe sempre più difficile.
L'impressione è che si tratti di distinguo tesi a complicare la strategia di Draghi, e del Quirinale. E magari a intercettare il pacifismo di settori nostalgici dell'estrema sinistra e del mondo cattolico, più attenti a condannare il ricorso inevitabile agli aiuti militari che a difendere il diritto dei popoli; e pronti a evocare astrattamente il «cessate il fuoco» e il dialogo, a dispetto del rifiuto di Putin ad aprire un qualsiasi negoziato. Sono premesse di tensioni che fino a qualche settimana fa sembravano scongiurate. Ma ora rischiano di compromettere la credibilità dell'Italia.
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