DEAR BENITO - QUANDO GLI INGLESI S’AFFIDARONO ALLA DIPLOMAZIA DI LADY CHAMBERLAIN PER CONVINCERE MUSSOLINI A TENERE SOTTO CONTROLLO HITLER

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Roberto Festorazzi per "l'Espresso"

Tra il dicembre del 1937 e il febbraio dell'anno successivo, un'inviata speciale del premier inglese, il conservatore Neville Chamberlain, compì una missione in Italia allo scopo di spianare il terreno a un'intesa globale tra il governo fascista e quello di Londra. Questa rappresentante del primo ministro della Corona britannica, era nientemeno che sua cognata, ossia Lady Ivy Chamberlain, vedova del fratellastro Austen, che fu ministro degli Esteri e grande amico di Mussolini.

Lady Chamberlain a Roma incontrò Ciano, il Duce e i più influenti esponenti dell'establishment fascista. Fu grazie alla sua missione che Italia e Gran Bretagna siglarono gli Accordi di Pasqua del 1938. Pochi mesi più tardi, quando la pace in Europa fu sotto la minaccia della crisi cecoslovacca, Neville Chamberlain pensò di ripetere la felice esperienza, ricorrendo nuovamente alle arti diplomatiche della cognata. Questa volta la posta in gioco era molto più alta: raggiungere un accordo di concordanza europea con Hitler.

Il retroscena della seconda missione italiana di Lady Chamberlain emerge per la prima volta da un carteggio conservato nel Fondo Sarfatti del Mart di Rovereto. Si tratta di due lettere inedite che la vedova di sir Austen inviò alla scrittrice ebrea Margherita Sarfatti, e che arricchiscono il repertorio di documentazione storica finora prodotto sull'intenso lavorìo diplomatico sotterraneo compiuto dall'Inghilterra durante la crisi dei Sudeti esplosa sul finire dell'estate del 1938.

La Sarfatti, che era stata a lungo l'amante del Duce, era una donna colta e di mentalità europea. Aveva promosso il movimento artistico del Novecento Italiano, e frequentava il jet set internazionale. Nel 1934, fu ricevuta per un tè alla Casa Bianca dal presidente Roosevelt.

Chamberlain - e queste nuove acquisizioni lo confermano - fu molto più astuto e spregiudicato di quanto si è finora creduto. Mentre sui giornali montava d'intensità il dramma cecoslovacco, lo statista britannico aveva bisogno di lanciare Mussolini, nel ruolo di mediatore, in una grande maratona diplomatica destinata a passare alla storia.

Ne sortì la Conferenza di Monaco del 29-30 settembre 1938, che vide il Duce interporsi con successo tra Hitler, da una parte, e la Francia e il Regno Unito dall'altra. La pace fu salva, ma solo per pochi mesi, e al prezzo dello smembramento della Cecoslovacchia. Monaco aveva segnato la disfatta delle grandi potenze occidentali, che avevano accettato di piegarsi ai ricatti del Führer.

Tanto che la Conferenza del 1938 è divenuta, nel lessico contemporaneo, sinonimo della capitolazione delle democrazie nei confronti delle tirannidi. A Monaco, Chamberlain, e il suo collega francese Édouard Daladier, non furono però deboli o codardi, come la più recente storiografia ha dimostrato, ma coscienti collaboratori del dittatore nazista.

Da parte del primo ministro inglese, soprattutto, vi era infatti la chiara volontà di pervenire a un accordo con il Reich, in chiave anticomunista. Pur di dirottare il potenziale aggressivo di Hitler contro la Russia, i britannici erano disposti ad accettare una dominazione germanica che dilagasse nell'Europa centro-orientale: non solo in Austria e in Cecoslovacchia, ma anche in Polonia e in Ucraina.

Solo il patto nazi-sovietico dell'agosto 1939 ribaltò i giochi e le prospettive: la Gran Bretagna comprese che il Führer intendeva procurarsi una garanzia contro un attacco russo, mentre si preparava ad attaccare a occidente, e la guerra divenne a quel punto inevitabile.

Nella tarda estate del '38, per far ingoiare all'opinione pubblica democratica la spartizione che Chamberlain aveva sottoscritto segretamente con Hitler, bisognava salvare le forme. Ed ecco allora germinare nella mente dello statista conservatore il piano di una vasta collusione segreta con la Germania, di cui Monaco non rappresentò che un tassello. Lo scandaloso accordo anglo-tedesco fu consacrato da una dichiarazione solenne che impegnava reciprocamente le due nazioni a non aggredirsi.

Per poter pervenire a un tale risultato, il premier architettò la nuova missione di Lady Ivy in Italia. Se la cognata di Neville Chamberlain, giungendo a Roma, interpellò Donna Margherita, ciò significa che gli inglesi la ritenevano ancora capace di influire sul Duce. In realtà, in quel 1938, la Sarfatti era emarginata dal gioco politico. Mussolini non la riceveva più, e stava addirittura per intraprendere la via dell'esilio, a causa delle leggi razziali: espatrierà a Parigi nel novembre di quello stesso anno.

Anche se non risultano documentati ulteriori passi condotti da Lady Chamberlain, durante il suo soggiorno romano, non si può affatto escludere che la rappresentante del primo ministro britannico possa aver incontrato alte personalità del regime, fino allo stesso Mussolini. È ragionevole pensare che sia andata così, perché l'incarico era della massima delicatezza: bisognava sondare la disponibilità del Duce a raccogliere un invito di Chamberlain a mediare nella controversia internazionale.

La prima missiva di Lady Chamberlain, datata 17 settembre 1938, è precedente alla Conferenza di Monaco e contiene un riferimento ai voti augurali che la Sarfatti aveva formulato, in vista di una soluzione negoziata della crisi dei Sudeti.

Segue un accenno agli incontri avvenuti, in Italia, tra le due donne, e un finale ottimista sull'esito: «Non vedo davvero l'ora che l'accordo tra le nostre due nazioni venga ratificato!». Successiva a Monaco è invece la seconda lettera. Il documento, del 3 ottobre '38, trabocca di compiacimento per il trionfo del Duce e del cognato, uniti nel compito di «salvare la pace in Europa».

Da questa corrispondenza traspaiono risvolti dell'amicizia tra le due figure femminili accomunate da un medesimo tratto distintivo: quello di essere patrone, nei rispettivi Paesi, del panorama artistico. Le due donne, probabilmente, si erano conosciute già in occasione delle visite di Austen Chamberlain a Mussolini a metà degli anni Venti.

Lady Ivy aveva poi lanciato l'idea di una grande rassegna storica dell'arte italiana, che la Sarfatti inaugurò a Londra, nel gennaio del 1930. Otto anni dopo, quell'amicizia cementata dall'interesse comune per l'arte sembrò tornare utile alla Gran Bretagna, mentre già si stava accentuando la subalternità di Mussolini a Hitler: per ironia della storia, la prima lettera della Lady all'amica ebrea è scritta proprio il giorno precedente al discorso in cui il Duce a Trieste proclamò le leggi razziali.

 

 

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