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DAGOREPORT – GIORGIA MELONI, FORSE PER LA PRIMA VOLTA DA QUANDO È A PALAZZO CHIGI, È FINITA IN UN…
Mar.Ott. per "La Stampa"
Il premier Erdogan accusa l'opposizione, gli estremisti e le influenze straniere e vola in Marocco. La piazza aspetta ben altre risposte, non demorde e torna in strada. In questa Turchia a due sensi di marcia che sembrano proprio non volersi incrociare, al quarto giorno di protesta ci sono scappati i primi due morti, i feriti sono oltre 170 e le persone arrestate quasi 2000.
La tregua al momento sembra un miraggio. Nella notte fra domenica e lunedì sono andati in scena gli scontri più violenti fino a questo momento. Centinaia di persone hanno tentato di avvicinarsi al palazzo di Dolmabahce, dove si trova l'ufficio di Erdogan a Istanbul. Il risultato è stato gas urticanti e aria irrespirabile, della quale hanno fatto le spese per primi i residenti della zona.
Ieri sera è andato in scena lo stesso copione: calma relativa a Taksim, guerriglia urbana a Besiktas. La dura repressione ha suscitato condanna e allarme in tutto il mondo. Ieri il segretario di Stato Usa John Kerry si è detto «preoccupato» e ha chiesto un'indagine sul comportamento della polizia.
Non va meglio nelle altre città . Ad Ankara la polizia è dovuta intervenire in modo pesante contro migliaia di manifestanti e a Smirne alcuni studenti hanno cercato di occupare il rettorato dell'Università Ege.
L'Anatolia, milioni di abitanti che rappresentano lo zoccolo duro dell'elettorato del premier, per il momento dorme sonni tranquilli, ma motivi per preoccuparsi ce n'è più di uno. «Si tratta di scontri organizzati da gruppi di estremisti - ha detto Erdogan, visibilmente irritato -. Non c'è una sola cosa riguardante la demolizione degli alberi. Sono proteste orchestrate. Un cittadino saggio non dovrebbe prestarsi a questo gioco. Ci sono i deputati dell'opposizione dietro, collaborano con l'estremismo».
Ma non sembra che la folla sia molto propensa a dargli retta. A Istanbul, con l'eccezione di Besiktas e quartieri limitrofi, che fino alle 6 del mattino sono stati teatro di scontri e tensioni, la giornata è passata in modo regolare. Verso le 18 la gente è tornata a radunarsi dalle parti di Taksim. Ma la svolta è arrivata dopo le otto di sera, quando ovunque si sono sentiti i rumori delle pentole, ormai un richiamo alla guerra, che invitavano la gente a manifestare.
«Questa sera per la prima volta non suonerò il mio pianoforte, ma un'altro strumento: la pentola» ha twittato il pianista di fama internazionale Fasil Say, noto oppositore del governo e sotto processo per istigazione all'odio religioso. La gente ormai si raduna dove ritiene che la protesta debba essere ascoltata. Media inclusi. Ne sa qualcosa l'emittente Ntv, molto reticente nei giorni nel dare notizie sui disordini, che ieri mattina si è ritrovata sotto la redazione gente che urlava «non vogliamo media partigiani».
Il premier non tornerà in patria prima di quattro giorni, il capo di Stato Abdullah Gul, suo ex compagno di partito e ora avversario gli ha mandato a dire che democrazia non vuole dire solo vincere le elezioni e ha incontrato il capo dell'opposizione, Kemal Kilicdaroglu. In mezzo c'è la Turchia con le sue contraddizioni e le sue notti passate in strada a urlare Erdogan istifa, Erdogan dimettiti.
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