BERGOGLIO E PREGIUDIZIO: IL PAPA PARLA E SMONTA LE ACCUSE

Paola Del Vecchio per "Il Messaggero"

LA POLEMICA
«Dio non si stanca di perdonare», le prime parole twittate da Papa Francesco nel giorno del suo primo Angelus. Ma in Argentina c'è chi non perdona la presunta complicità dell'allora provinciale gesuita con la dittatura militare: il giornalista Horacio Verbitesky, che ieri sul quotidiano Pagina 12 rilanciava le accuse «sul ruolo di Bergoglio nel caso di Yorio e Jalics», i due sacerdoti gesuiti, impegnati nella comunità della favela di Bajo Flores, arrestati e torturati per 6 mesi nel 1976. Corroborandole con documenti. Fra questi, la copia di una scheda del 1979, compilata dall'allora Direttore del Culto cattolico della cancelleria, Anselmo Orcoyen. Ritornato in libertà, Jalics era rientrato in Germania.

Essendo scaduto il passaporto, Bergoglio chiese alla Cancelleria che fosse rinnovato senza che il sacerdote tornasse in Argentina. Orcoyen caldeggia di respingere la petizione, «considerati i precedenti del richiedente», che gli erano stati riferiti anteriormente «dallo stesso padre Bergoglio, firmatario della nota». Sostiene Verbitesky che Bergoglio non solo aveva ritirato la protezione ai due gesuiti ma che ne aveva denunciato le "attività sovversive" alle autorità militari. Una circostanza che se «non basta per una condanna legale per un sequestro del 1976», sì «profila una linea di condotta». L'autore dell'articolo ricorda che Jalics, oggi 85enne, ha chiarito di essersi riconciliato con «quei fatti», che considera «un caso chiuso», ma senza voler commentare il ruolo avuto da Bergoglio. Li raccontò, invece, nel suo libro, "Esercizi di meditazione", citato da Pagina 12, pur senza mai pronunciare il nome dell'attuale Pontefice.

L'AUTODIFESA
L'unica autodifesa pubblica dell'ex arcivescovo di Buenos Aires è contenuta nel libro-intervista con i giornalisti argentini Sergio Rubin e Francisca Ambrogetti, "El Papa Francisco". Nell'abbordare il caso Jalics e Yorio, Bergoglio sostiene: «Il superiore generale dei gesuiti, che allora era il padre Arrupe, disse loro di scegliere fra la comunità in cui vivevano e la Compagnia di Gesù, e gli ordinò di cambiare la comunità. Dal momento che persistettero nel loro progetto, e si dissolse il gruppo, chiesero di uscire dalla Compagnia.

Fu un lungo processo che durò oltre un anno. Non una mia decisione affrettata. Quando furono accettate le loro dimissioni era marzo 1976, il giorno 19, ossia mancavano cinque giorni per la destituzione del governo di Isabel Peron. Davanti alle voci di un imminente golpe, dissi loro di stare molto attenti. Ricordo di avergli offerto di venire a vivere nella casa provinciale della Compagnia». Il gesuita assicura di «non aver mai creduto che i due sacerdoti fossero coinvolti in attività sovversive». Ma che, «per i loro rapporti con alcuni preti delle favelas, restavano troppo esposti alla paranoia della caccia alle streghe» Yorio e Jalics furono sequestrati in una retata.

LA LIBERAZIONE
«Per fortuna, tempo dopo furono liberati - ricorda Bergoglio - primo perché non poterono accusarli di nulla, e secondo, perché noi ci demmo da fare come matti. Quando ho detto di aver incontrato due volte Videla e due Massera fu per il loro sequestro». Testimone in due processi per crimini di lesa umanità commessi durante la dittatura, Jorge Bergoglio, nel libro "Sobre el cielo y la tierra", considera che «la Chiesa privilegiò realizzare gestioni alle dichiarazioni pubbliche» e che «fece quello che deve fare un organismo con santi e peccatori».

 

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