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Francesco Verderami per il “Corriere della Sera”
MASSIMO D ALEMA E SILVIO BERLUSCONI
Sul Quirinale è il momento di contarsi per contare. E se Renzi non mette in dubbio la parola di Berlusconi, «ha detto che voterà con noi e io gli credo», vuole capire se ha davvero fondamento l’altra garanzia fornita dal Cavaliere: «A breve incontrerò Fitto e i miei gruppi saranno uniti». La corsa per il Colle inizia ufficialmente oggi, e il premier chiede all’alleato dell’opposizione di stringere i suoi ranghi, «io deve badare a compattare i miei».
Si vedrà se il leader del Pd riuscirà ad arrivare puntuale all’appuntamento, «alla quarta votazione avremo il nuovo capo dello Stato», o se la sua scommessa si rivelerà un azzardo. Molto dipenderà dal grado di tenuta del capo dei forzisti ma soprattutto dalla tattica che verrà adottata per evitare le insidie del voto segreto.
Arcore è la Fortezza Bastiani di Berlusconi, che in attesa di sapere cosa disporrà Renzi sul Quirinale si sporge dai camminamenti per scorgere la sagoma di un messaggero: da quel deserto, d’altronde, non arrivano più nemici ma solo un ufficiale di collegamento. È Verdini. È lui che spiega al Cavaliere come comportarsi: «Renzi ti proporrà una serie di candidati e noi potremo scegliere». Il leader di Forza Italia inizia così a sfogliare i petali della rosa, a modo suo: «Avrò l’agibilità, non avrò l’agibilità...». È un chiodo fisso, non smette di parlarne, mentre attorno a lui i fedelissimi sbirciano sui suoi fogli i nomi dei quirinabili: Mattarella, Gentiloni, Fassino.
Il Cavaliere storce il naso. In realtà, in fondo al sentiero che porta alla presidenza della Repubblica, quella terna (forse) nasconde il vero candidato. Confalonieri sostiene che «nella storia del Quirinale sono salite personalità sbiadite, però pensi di eleggere uno sbiadito e poi magari ti ritrovi un Pertini».
Il Colle visto da Arcore è un santuario laico da cui Berlusconi si attende il miracolo, e la sua Fortezza Bastiani è un ottimo punto di osservazione per vedere tutti quelli che si agitano con i loro messaggi e le loro telefonate, grazie alle quali l’ex premier può dimenticare l’estrema debolezza politica del momento.
Fassino — per accreditarsi — gli ha fatto sapere che da Guardasigilli non ebbe mai alcun atto ostile contro di lui sulla giustizia, «e quanto a standing internazionale sono stato ministro del Commercio estero».
Persino Prodi gli manda a dire. O meglio, alcuni prodiani — non si sa se autorizzati o mossi da iniziativa personale — hanno contattato rappresentanti berlusconiani del mondo dello spettacolo e dell’informazione per affidare un pensiero da consegnare al Cavaliere. Ma il Professore non ha detto a più riprese di non essere «in corsa»? Vero, ma «in corsa» lo potrebbero sospingere gli avversari di Renzi nelle prime tre votazioni, quelle in cui il premier ha dichiarato che «si voterà scheda bianca», quelle in cui il leader del Pd sarà maggiormente vulnerabile. Se il Professore iniziasse a salire nei consensi sarebbe complicato arrestarne poi la marcia.
A meno da non proporre un nome che sia «all’altezza di Prodi e di Marini», come chiede Bersani a mo’ di sfida. E il capo democrat — per parare il colpo e fermare la corsa del fondatore dell’Ulivo — medita di lanciare in pista il primo segretario del Pd, quel Veltroni che — per dirla con autorevoli membri del governo — «più sta fermo più sta dentro i giochi». Se così fosse, gli oppositori interni di Renzi avrebbero difficoltà a respingere la proposta del loro segretario. Se così fosse, altro che terna: vorrebbe dire che Berlusconi qualche garanzia deve averla data sul candidato secco. Proprio Bersani ieri sentiva aria di grande intesa: «Il premier dice che per il capo dello Stato partirà dalla quarta votazione e l’opposizione non protesta?».
Di più. Tra i ranghi forzisti c’è chi sottovoce si mostra disponibile a votare eventualmente Veltroni, accreditando di fatto la tesi che la debolezza politica del Cavaliere lo porterebbe ad accettare anche «un esponente del Pd» pur di stare in gioco. Ma è questo il vero gioco o la soluzione ventilata ieri da Palazzo Chigi è una mossa tattica, fatta nell’urgenza del momento, per stoppare gli oppositori del premier? E l’accordo — semmai fosse stato già chiuso con Berlusconi — comprende anche l’area dei centristi che stanno nel governo? Perché ieri Alfano ha detto no a un candidato al Colle che sia frutto «delle primarie del Pd».
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Tra tanti interrogativi, una cosa è certa: Renzi oltre la sesta chiama potrebbe perdere il controllo della situazione in Parlamento, perciò ha bisogno di presentarsi ai blocchi di partenza con un candidato forte. I rischi di un protrarsi della corsa sono stati analizzati a Palazzo Chigi come ad Arcore, dove a Berlusconi è stato prospettato che — in caso di stallo — potrebbe prendere corpo anche la candidatura di Grasso.
Raccontano che il Cavaliere abbia avuto un sobbalzo: «Un magistrato anche al Quirinale? Ci manca questo». Fosse per lui, un nome ci sarebbe, uno che gli fa ricordare la sua gioventù politica: «Tra tutti, l’unico è D’Alema ad avere il profilo dell’uomo di Stato. E sarebbe garante degli accordi. Ma purtroppo...». Purtroppo Renzi non lo vuole. E se invece fosse Veltroni?
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