DAGOREPORT - MA QUALE TIMORE DI INCROCIARE DANIELA SANTANCHÈ: GIORGIA MELONI NON SI È PRESENTATA…
Marco Conti per “Il Messaggero”
L’argomento è scivoloso, non porta consensi - salvo non si parli di riduzione del canone - ed è in grado di scatenare lobby trasversali da far impallidire quelle già in campo contro il pacchetto di liberalizzazioni. Eppure per Matteo Renzi «il tempo è scaduto» e la riforma della Rai non è più rinviabile.
«Al prossimo consiglio dei ministri ci occuperemo di Rai e scuola», ha spiegato ieri l’altro il presidente del Consiglio, confermando un suo vecchio assioma. Ovvero che il ruolo del servizio pubblico deve essere quello di «un’azienda innovativa, produttrice di cultura».
DIVIETO
Stabilito il nesso, utile per spiegare l’interesse dell’esecutivo per una riforma in grado di sottrarre la Rai al controllo dei partiti, viene però il difficile. Soprattutto perché l’argomento è di stretta pertinenza del Parlamento e qualunque schema di riforma dovrà passare per le forche caudine di partiti, di maggioranza e opposizione, che non sembrano voler mollare l’osso.
Vie brevi, decreto in testa (smentito da palazzo Chigi), oltre a doversela vedere con il Quirinale, non renderebbero più facile il compito dell’esecutivo il quale - calendario alla mano - è già in ritardo per scongiurare che la commissione di Vigilanza non provveda a rinnovare a giugno il consiglio d’amministrazione di viale Mazzini con le regole della Gasparri.
Una legge, quest’ultima, che alla fine va bene a tutti perché permette ai i partiti di nominarsi un consigliere ciascuno. Per ora in Parlamento è depositato solo uno schema di riforma, a firma di Michele Anzaldi, che riprende il progetto-Gentiloni. Ovvero la scelta della governance dell’azienda dovrebbe essere affidata ad una fondazione che nomina i consiglieri.
Il nodo da risolvere è quello che Antonello Giacomelli, sottosegretario alle Comunicazioni, chiama «la fonte di legittimazione delle nomine in Rai». Per spezzare il rapporto tra partiti e nomine, senza venir meno al concetto di servizio pubblico, il progetto renziano parte dalla cancellazione dei poteri che ha in materia la commissione di Vigilanza e da una struttura operativa molto agile composta da un amministratore delegato e da un direttore generale.
Il primo si dovrà occupare in particolar modo dei conti, il secondo del prodotto. La scelta dei quattro-cinque consiglieri d’amministrazione potrebbe essere affidata ad una fondazione (sul modello del trust inglese) che sottoporrebbero i candidati al vaglio del presidente della Repubblica che farebbe ciò che la Regina fa da decenni in Gran Bretagna.
Al modello Bbc, almeno a parole, tutti sostengono di riferirsi per sottolineare il ruolo di servizio pubblico che la Rai deve riscoprire vista anche l’esistenza di un canone. Il progetto di dimezzare il canone, e introdurlo nella bolletta dell’energia, è ancora in piedi anche se sconta lo scarso entusiasmo delle aziende che dovrebbero sostituirsi alla Rai nel ruolo di esattori.
Rai Andrea Vianello Luigi Gubitosi Angelo Teodoli Giancarlo Leone
Tagliare il canone, portandolo a 65 euro, non dovrebbe ridurre il gettito finale incassato dalla Rai, visto che l’imposta sconta un’altissima evasione. Nel giro di un paio di settimane lo schema di riforma elaborato da palazzo Chigi dovrebbe arrivare al Senato composto di pochissimi articoli e dalla richiesta di una corsia preferenziale. Tutto nel tentativo di chiudere la riforma prima dell’estate in modo da anticipare anche il rinnovo della convenzione che scade il prossimo anno.
TAGLI
I sei mesi impiegati per varare il piano di riassetto con le due newsroom proposto da Luigi Gubitosi, infittiscono il partito degli scettici. Ma Renzi non intende mollare e vuole «accompagnare il lavoro di riorganizzazione gestionale con una scommessa alta di natura culturale perché la Rai è il più grande asset da mettere al servizio di una idea di Italia nel mondo».
Di fatto una smentita, quella di Renzi, a coloro che hanno sostenuto sino a qualche giorno fa che Gubitosi lavorasse in perfetta solitudine al riassetto interno. Giovedì prossimo il cda della Rai si riunirà a Milano per valutare il piano delle 2 newsroom - comprese le 17 correzioni chieste dalla Vigilanza e alle quali stanno lavorando Nino Rizzo Nervo, Luigi de Siervo, Valerio Fiorespino e Francesco Nardella - che piace anche al grillino Fico perché «con gli accorpamenti e le newsroom non si perde il ruolo dell’informazione» e visto anche la riduzione dei direttori (due invece di otto) e dei vicedirettori (12 e non 32).
Tra le richieste della Vigilanza i criteri di selezione dei direttori di testate con meccanismi «di evidenza pubblica». Ovvero una sorta di bando, aperto all’esterno, per decidere chi andrà a dirigere le due newsroom. Un problema in più per gli attuali direttori.
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