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Sergio Rizzo per il Corriere della Sera
Non siamo soli: ci sono ben sei Paesi dell' Unione Europea che hanno fatto finora peggio di noi. Ma non può certo valere il detto «Mal comune, mezzo gaudio». Perché sapere che all' inizio del 2017, cioè quasi a metà strada del programma comunitario 2014-2020, Austria, Belgio, Irlanda, Lussemburgo, Croazia e Romania avevano speso meno di noi è una ben magra consolazione. Intanto almeno metà di questi Paesi hanno un bisogno assai relativo dei fondi europei. Ma soprattutto parliamo di volumi ben diversi.
All' Italia toccherebbero 42,7 miliardi di euro, che sommati al cofinanziamento nazionale (necessario per aprire il rubinetto europeo) portano il totale a 73,6 miliardi. Siamo il secondo Paese dell' Unione destinatario di questi denari dopo la Polonia con 104,9 miliardi di risorse previste, e che ha speso il 4,1 % delle somme a disposizione: 4,3 miliardi, il quadruplo circa degli 880 milioni utilizzati dall' Italia (l' 1,2% del totale). Peraltro, soldi spesi in larghissima misura per le consulenze relative ai progetti.
POLONIA AL PRIMO POSTO
Va detto che l' impiego effettivo dei fondi europei procede sempre piuttosto a rilento nei primi due anni di ogni programma settennale, e questo per comprensibili ragioni tecniche. Bisogna predisporre i piani che devono passare il vaglio di Bruxelles, quindi fare i bandi e infine assegnare i finanziamenti. Le procedure possono quindi essere talvolta inizialmente complicate. Da questo punto di vista l' Italia ne sa purtroppo qualcosa più degli altri, visto il tempo (più di un anno) che se n' è andato soltanto per superare le osservazioni europee ai nostri piani. E questo è di sicuro il primo problema. Il risultato è che nella classifica della spesa siamo già gli ultimi fra i maggiori Paesi destinatari dei finanziamenti continentali, dietro Polonia, Germania, Francia e Spagna.
Ma sono i dati delle singole Regioni, responsabili dei progetti, a denunciare ancora una volta come, nonostante i tentativi per rimettere la macchina in carreggiata fatti dai governi che da cinque anni a questa parte si sono succeduti, i problemi più grossi siano sempre lì. Senza poi entrare nel merito delle singole iniziative, che si risolvono spesso in distribuzione di risorse a pioggia per interventi microscopici di scarso impatto sullo sviluppo reale delle aree più bisognose.
REGIONI A RILENTO
Prendiamo per esempio il Fesr, acronimo che sta per Fondo europeo di sviluppo regionale. Mentre la Valle D' Aosta ha speso già quasi il 10 per cento e la Lombardia il 4,1 per cento, nemmeno un euro si è visto ancora in Regioni che di quei soldi avrebbero una certa necessità, quali Abruzzo, Campania, Lazio e Sicilia: quest' ultima avrebbe da sola diritto a 4,5 miliardi a valere sul Fesr.
Le cose non vanno molto diversamente nel caso del Fse (Fondo sociale europeo). Se qui è il Piemonte a guidare la graduatoria della spesa, con l' 11,4 per cento, seguita dalla Lombardia (6,5 per cento), in fondo alla graduatoria troviamo, sì, la Provincia autonoma di Bolzano, ma soprattutto la Puglia: zero euro spesi a fronte di 7,1 miliardi previsti. Per inciso, a Bolzano toccano 136 milioni del Fse.
A QUOTA ZERO
Considerando anche il terzo fondo (Feasr, agricoltura), la classifica regionale fa letteralmente cadere le braccia guardando al Sud. A metà del programma 2014-2020 il Piemonte ha speso 124 milioni, la Lombardia 102 e la Toscana 51,8. Via via tutte le altre, fino a incontrare la prima meridionale, la Sardegna, con 22 milioni. E poi la Calabria, 9 milioni. La Sicilia, meno di 3 milioni: un quarantesimo del Piemonte. L' Abruzzo, neanche 2. Il Molise non arriva a un milione. La Campania si ferma a 783 mila euro: un centotrentesimo della Lombardia. E la Puglia è ancora a zero. Come l' Umbria, del resto. Però nemmeno in questo caso, a maggior ragione, può valere il detto: «Mal comune, mezzo gaudio».
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