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“Rovesciare lo sguardo sul passato è come sporgersi da un pozzo: ti fa venire le vertigini. E t’impaurisce…”, aveva osservato sul “Corriere della Sera” il costituzionalista Michele Ainis, puntando il dito severo sui tanti strappi subiti dalla nostra magna carta nell’ultimo ventennio. Ma l’eccellente professore neo-sessantenne (auguri!) non aveva ancora assistito all’ultimo scempio istituzionale che oggi sta sotto gli occhi di tutti. Compresi quelli del capo dello Stato uscente, Giorgio Napolitano.
Il gestore di quella presunta “eccezionalità costituzionale fino a surrogare il Parlamento” al varo dei governi, che oggi consente impunemente al boy scout di palazzo Chigi di “revocare” un atto collegiale del governo infischiandosene dell’art.95 della nostra Carta.
Neppure a Benito Mussolini sarebbe passata per la testa (matta) di ritirare il decreto fiscale di Natale - vergato dall’anonimo renziano e taroccato all’ultimo minuto -, dopo che esso era stato approvato all’unanimità dal consiglio dei ministri.
E, al tempo stesso, il nostro maramaldo ha pure annunciato, senza il consenso dei ministri co-firmatari del decreto manomesso e sconfessato, di volerlo ripresentare dopo l’elezione del nuovo presidente della Repubblica.
Per quali ragioni Renzi è pronto a resuscitarlo dopo la nomina del successore di re Giorgio II?
Forse per garantirsi una merce di scambio con l’altro Nazareno, Silvio Berlusconi, come - dopo Dagospia - ha dovuto confessare candidamente a “il Fatto” il principe del foro nonché difensore di fiducia dell’ex Cavaliere, Franco Coppi. Che, “a caldo”, ha usato parole forti sui rumors (in attesa di smentita, com’era precisato) riportati martedì da questo sito su un suo possibile coinvolgimento nella redazione dell’art.19 bis.
Possiamo solo rassicurare il sommo giurista che le nostre fonti non soltanto erano attendibili, ma ben conosciute al ministero del Tesoro di via XX Settembre dove si sarebbe tenuto il vertice segreto.
Ma la migliore smentita, quella che ancora tutti aspettano, sarebbe stata di rendere noto - subito - il nome dell’autore materiale dell’art.19 bis. Altrimenti i sospetti restano in un Paese che rischia di trasformasi nell’Anonima Italiana dove la menzogna politica è intrinseca al suo operato e si tramuta in una insopportabile virtù.
E proprio in nome di quella trasparenza annunciata dal parolaio Renzi, che finora sembra valere soltanto per i pizzardoni-assenteisti romani.
Altro che vertigini, allora!
Le ultime scorribande istituzionali dello statista di Rignano sull’Arno provocano conati di vomito.
“I ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri, e individualmente degli atti dei loro dicasteri”, recita appunto l’art.95 della nostra Costituzione.
Dunque, il decreto legislativo contenente il codicillo-salvacondotto per l’ex Cavaliere (e per molti banchieri-imprenditori) è stato ratificato, sia pure “in via preliminare”, e certamente non può essere revocato “motu proprio” dal ribaldo e irresponsabile presidente del Consiglio.
Il bravo e onesto ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, contrario all’art.19 bis introdotto a sua insaputa dall’anonimo renziano (sic), invece di minacciare la libertà d’informare di Dagospia dovrebbe rivendicare la propria autonomia di fronte ai diktat azzardati e irricevibili di Kim Jong-un Renzi.
E se Roma non è ancora un regime dittatoriale come a Pyongyang anche il responsabile della Giustizia, Andrea Orlando, dovrebbe far rispettare le proprie prerogative di fronte agli aut aut del “capataz” di palazzo Chigi.
O, altrimenti, trarne le doverose conseguenze dimettendosi dai loro incarichi. In passato per molto meno noti ministri hanno abbandonato la poltrona una volta trovatisi in aperto conflitto con il presidente del Consiglio di turno.
Non si perde gran che, compresa la candidatura al Quirinale, quando alle nostre spalle sta bruciando la casa in cui abita l’onestà intellettuale e la democrazia.
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