LA FURIA DELLE FERIE - RENZI CONTRO I MAGISTRATI: “RIDICOLO CHE SE HAI UN MESE E MEZZO DI VACANZE E TI VIENE CHIESTO DI RINUNCIARE A QUALCHE GIORNO, LA REAZIONE SIA ‘CI VUOI FAR CREPARE DI LAVORO’” - IL GIUDICE CANZIO BASTONA COLLEGHI E PM: “PARLANO TROPPO AIMEDIA”

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1. GIUSTIZIA, RENZI CONTRO I MAGISTRATI: 'ITALIA PATRIA DEL DIRITTO NON DELLE FERIE'

Da www.ansa.it

 

matteo renzi a davos 7matteo renzi a davos 7

"Bisogna valorizzare i giudici bravi, dicendo basta allo strapotere delle correnti che oggi sono più forti in magistratura che non nei partiti". Lo scrive il premier Matteo Renzi su Facebook, commentando le contestazioni al governo in occasione delle cerimonie di inaugurazione dell'anno giudiziario.

 

Sono "ridicole" le "contestazioni" di alcuni magistrati contro il taglio delle ferie, ha affermato Renzi su Facebook. "Non vogliamo far 'crepare di lavoro' nessuno, ma vogliamo un sistema della giustizia più veloce e più semplice. E, polemiche o non polemiche, passo dopo passo, ci arriveremo", dichiara il premier. Che aggiunge: "L'Italia che è la patria del diritto prima che la patria delle ferie, merita un sistema migliore" di giustizia. La memoria dei magistrati che sono morti uccisi dal terrorismo o dalla mafia ci impone di essere seri e rigorosi", sottolinea.

MAGISTRATI MAGISTRATI

 

"Oggi di nuovo le contestazioni di alcuni magistrati che sfruttano iniziative istituzionali (anno giudiziario) per polemizzare contro il Governo", scrive il presidente del Consiglio Matteo Renzi sulla sua pagina Facebook. "E mi dispiace molto - aggiunge - perché penso che la grande maggioranza dei giudici italiani siano persone per bene, che dedicano la vita a un grande ideale e lo fanno con passione. Ma trovo ridicolo - e lo dico, senza giri di parole - che se hai un mese e mezzo di ferie e ti viene chiesto di rinunciare a qualche giorno, la reazione sia: 'Il premier ci vuol far CREPARE di lavoro'".

 

 

2. TROPPO POTERE AI PM: LO DICONO ANCHE I GIUDICI

Fausto Carioti per “Libero Quotidiano

 

giovanni canziogiovanni canzio

Sembrava un pistolotto accademico, di quelli che certi magistrati orfani di cattedra universitaria rifilano alla platea nelle occasioni istituzionali, come appunto l’inaugurazione dell’anno giudiziario. Anche il titolo che Giovanni Canzio aveva dato a quella parte della sua relazione pareva fatto apposta per ottundere i sensi: «Il “tempo” e la “giustizia” fra rito mediatico e processo».

 

Invece, sorpresa: c’è più critica dei vizi delle toghe nelle parole che il presidente della Corte d’Appello di Milano pronuncia a partire da quel momento che in tutte le decisioni adottate dal Csm. Tanti pubblici ministeri e parecchi magistrati giudicanti, a Milano e nel resto della Penisola, avrebbero di che riflettere (il verbo al condizionale è dettato dal realismo: serve a far capire che qui nessuno è così ingenuo da illudersi che ciò accada). Il nemico della giustizia, anzi di quella che Canzio chiama «la cultura della giurisdizione», è il «populismo giudiziario», nel quale tanti magistrati svolgono il doppio ruolo di carnefici e vittime consenzienti.

FRANCESCO MESSINEO CAPO DELLA PROCURA DI PALERMOFRANCESCO MESSINEO CAPO DELLA PROCURA DI PALERMO

 

L’esempio pratico Canzio lo ha avuto in casa: il processo Ruby, che nella corte d’Appello di Milano è stato l’evento dell’anno. Come noto si è concluso con l’assoluzione di Silvio Berlusconi dalle accuse di prostituzione minorile e concussione (la procura ha presentato ricorso in Cassazione).

 

In questo, come in altri processi ad alto impatto mediatico svoltisi altrove e terminati con l’assoluzione (Canzio cita il caso Cucchi, quello sulle responsabilità degli scienziati nel sisma aquilano e il processo Eternit), l’opinione pubblica ha espresso «sentimenti di diffusa indignazione» e «comprensibile sconcerto» per i proscioglimenti. Le aspettative grondavano sangue e il verdetto le ha deluse.

IL PM NINO DI MATTEO IL PM NINO DI MATTEO

 

Proprio questa «sete di giustizia delle vittime, rimasta inappagata, a prescindere da ogni valutazione di merito circa la correttezza delle soluzioni adottate», rappresenta uno dei principali problemi che i magistrati debbono affrontare.

 

La soluzione che Canzio indica ai colleghi è quella di non cedere alle pressioni e di sgobbare nello studio dei fatti e nella ricerca delle prove: non si giudica la credibilità del sistema giudiziario dalla popolarità delle decisioni adottate.I magistrati che subiscono questo meccanismo sono spesso quelli che lo alimentano: accade, denuncia il presidente della Corte d’Appello, quando «gli organi dell’accusa o i giudici di merito, nell’inchiesta o nel dibattimento, decidono di intessere un dialogo diretto con media e, tramite questi, con i cittadini o col potere politico, anziché con i protagonisti del processo e nel processo».

 

Bocassini Berlusconi RubyBocassini Berlusconi Ruby

Copione che a Milano conoscono bene. Con uno sconfinamento al quale è raro assistere negli eventi istituzionali della magistratura italiana, il giudice meneghino ha criticato anche i colleghi di Palermo per la scelta di chiamare in audizione l’ex capo dello Stato Giorgio Napolitano, nell’ambito del processo sulla presunta trattativa tra Stato e mafia. «È mia ferma e personale opinione», ha scandito Canzio, «che questa dura prova si poteva risparmiare al capo dello Stato, alla magistratura stessa e alla Repubblica italiana».

 

Facile leggere in queste parole un’accusa di protagonismo alle toghe siciliane. Internet, dove i processi si consumano in pochi istanti senza studiare le carte e a colpi di pregiudizi, rappresenta una ulteriore tentazione per i magistrati smaniosi di adeguarsi alla moda dei tempi. Occorre resistere: come recita il catechismo di Canzio, «la giurisdizione non può essere condizionata da una tecnologia sorda e cieca che alimenti l’ansia del giudicante di dover deliberare comunque e in fretta». In fondo, avverte il magistrato, «dal pensiero “corto” alla sentenza “tweet” o al verdetto immotivato il passo è breve».

La sala del Bronzino, al Quirinale, dov’e? avvenuta la deposizione di Napolitano La sala del Bronzino, al Quirinale, dov’e? avvenuta la deposizione di Napolitano

 

Dunque: che fare? Non cedere al «populismo giudiziario», innanzitutto. Non farsi prendere dalla smania di essere trendy, di appiattirsi sulle sentenze emesse sul Web, di alimentare false aspettative pur di ottenere la ribalta su giornali e televisioni. Quanto alla riforma della giustizia, per Canzio la soluzione non consiste nel tagliare i tempi, se questo significa sacrificare la ricostruzione dei fatti attraverso le prove e ridurre le garanzie del contraddittorio.

 

Finirebbero infatti per avere un peso privilegiato gli esiti delle indagini iniziali, che sono provvisori e tali debbono restare. Doveroso, invece, ridurre la distanza tra il momento in cui il dispositivo viene letto e la pubblicazione della sentenza: se l’esito del giudizio non è stato quello atteso, tempi lunghi come quelli attuali servono solo ad accrescere le dietrologie.

 

 

 

TRIBUNALE DI MILANO
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