DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Francesca Schianchi per “la Stampa”
Un' apertura a sinistra, per coprirsi dalla concorrenza degli ex compagni di strada Bersani e D' Alema. E una in direzione del centro, per occupare lo spazio dei moderati. Nella strategia a cui sta lavorando per affrontare le prossime elezioni, il Pd ha individuato un solo problema, una figura utile in questo schema, ma molto difficile da far digerire all'elettorato di centrosinistra: Angelino Alfano.
Ex delfino di Berlusconi, ex segretario del Pdl, da Guardasigilli autore del contestatissimo lodo che istituiva una sorta di "scudo" dai processi per le quattro più alte cariche dello Stato quando la quarta, cioè il presidente del consiglio, era l'allora Cavaliere, l'attuale ministro degli Esteri ha fatto insorgere in alcune occasioni il popolo del Pd anche in questi anni di governo col centrosinistra, ad esempio sul caso Shalabayeva (la moglie di un dissidente kazako espulsa dall' Italia insieme alla figlia piccola quando lui era ministro dell'Interno). «Puoi mettere in lista la Castaldini (portavoce nazionale di Ap, ndr.), puoi mettere la ministra Lorenzin, anche Lupi: Angelino invece per i nostri è un problema», confida un uomo molto vicino a Renzi, «la sua immagine per il centrosinistra è troppo deteriorata».
L'operazione in corso a Largo del Nazareno prevede, per coprirsi a sinistra, di provare a strappare Giuliano Pisapia dall'alleanza con Mdp, tentativo che a giorni alterni appare complicato o a portata di mano (ieri, dopo l'intervista di D' Alema al "Corriere della sera", più la seconda), oltre che di coinvolgere altre personalità di sinistra (nel mirino alcuni sindaci, come quello di Cagliari, Massimo Zedda, e il collega di Lecce, Carlo Salvemini).
A presidiare il fianco destro, il Pd conta sull'apporto di figure come Benedetto Della Vedova e Carlo Calenda, e del loro "Forza Europa" (più difficile invece coinvolgere l' altra protagonista di quel movimento, Emma Bonino, in rapporti freddi con Renzi), ma anche Alternativa popolare. E qui si pone il problema Alfano.
L'ideale, dal punto di vista dei dem, sarebbe riuscire a convincerlo a non candidarsi. Un'ipotesi che, sanno bene dalle parti del segretario, è molto remota, ma su cui sta lavorando col tatto necessario il mediatore per eccellenza del partito, Lorenzo Guerini.
Quello che i dem possono proporre al ministro è il coinvolgimento dopo le urne, ancora una volta al governo, in caso di vittoria. Un'eventualità però tutt'altro che scontata: se invece a Palazzo Chigi ci andrà un'altra forza politica, Alfano potrebbe trovarsi all'opposizione e fuori dal Parlamento.
Movimenti e contatti sono in corso. D'altra parte, ancora non è chiara nemmeno la strategia del ministro degli esteri. Con l'accordo in Sicilia sul sostegno a Micari alle Regionali, sembrava aver fatto la sua scelta di campo verso il Pd. La nomina a coordinatore di Maurizio Lupi, due giorni fa, necessaria per trattenere l'ala lombarda del partito pronta allo strappo, è di tutt' altro segno: «I nostri interlocutori sono nella famiglia del Ppe, in particolare Forza Italia», twittava ieri il capogruppo ricordando dove, secondo lui, bisognerebbe guardare.
E la decisione di bloccare la legge sullo Ius soli, che Ap aveva già votato alla Camera, va in quella direzione. Ma, si sa, Salvini e Meloni hanno messo un veto su Alfano: per allearsi con lui, Berlusconi dovrebbe rinunciare a Lega e Fratelli d'Italia. «La vita è fatta di alternative: se Berlusconi gli chiude la porta in faccia, e se passa la legge elettorale con una quota di maggioritario, allora può darsi che Angelino per garantirsi un'alleanza sia costretto ad accettare le nostre condizioni», dicono nel Pd. Al popolo delle feste dell'Unità, in questi anni di governo i vertici dem hanno spiegato che l'accordo con Alfano era occasionale, obbligato dalla «non vittoria» delle elezioni. Ora dire il contrario non è semplice: stanno cercando la soluzione.
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