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Goffredo De Marchis per “La Repubblica”
Dal palco di Bologna Matteo Renzi dice «io da solo non ce la faccio» ma la natura è quella: non fidarsi, non delegare, non costruire un vero lavoro di squadra e alla fine fare praticamente tutto da solo. Persino con Graziano Delrio il rapporto personale rimane ottimo, «è il mio fratello maggiore» ripete il premier, ma tutti a Palazzo Chigi hanno notato che il sottosegretario ha perso sicurezza. Non si muove con l’autonomia degli inizi, sempre di più i dossier che passano sul suo tavolo devono finire anche su quello di Renzi.
Le pratiche si accumulano, la funzionalità dell’ufficio ne esce indebolita. Non è un caso che Delrio un giorno sì e l’altro pure venga dato in uscita. Una volta alla presidenza dell’Emilia, l’altra in un ministero importante quando si metterà mano al rimpasto. Così, passo dopo passo, si rimpicciolisce il Giglio magico dell’ex sindaco di Firenze. Così il suo studio finisce per assomigliare a un fortino dove gli ospiti sono sempre di meno.
Nella sede della presidenza del Consiglio, oggi, non sono più di quattro gli “amici” ascoltati e convocati dal premier. Il “fratello minore” Luca Lotti, il ministro Maria Elena Boschi, il vicesegretario generale di Palazzo Chigi Raffaele Tiscar e il portavoce Filippo Sensi. Durante le loro riunioni, Renzi, indicando Sensi, lo definisce «l’unico genio seduto qui». Il cerchio della fiducia, come lo chiamava l’ossessivo padre della sposa Robert De Niro nella commedia “Ti presento i miei”, è questo.
Con l’aggiunta di Antonella Manzione, ex numero uno dei vigili urbani fiorentini, chiamata a ricoprire il ruolo di capo dell’ufficio legislativo al governo. La sua ascesa è prepotente, anche perché la Manzione lavora 18 ore al giorno ed in contatto continuo con Renzi via sms. Ma la difficoltà di Renzi a fidarsi delle persone resta e crea di fatto una “solitudine“ politica e fisica dentro il palazzo. Con i suoi vantaggi e svantaggi.
È una condizione che non dispiace al premier, sia chiaro. Crearsi dei nemici o dei non amici, gli dà sempre un brivido di piacere. Renzi ha il piglio del capo che scontenta e divide. Quando indicò la lista bloccata dei renziani da spedire in Parlamento, escluse tanti della prima ora e infilò inspiegabilmente altri nomi che non avevano lo
stesso pedigree. Il fedelissimo Matteo Richetti, che pure era tra i promossi, commentò: «Ha fatto una strage. Stasera Matteo avrebbe problemi a trovare il quinto per giocare a calcetto».
Non è del tutto vero che non si fidi dei tecnici di Palazzo Chigi. «Ce ne sono di bravissimi, lo so. Ma le soluzioni che propongono sono sempre le stesse — spiega —. Aumentare le accise sulla benzina, alzare il prezzo delle sigarette. Io cerco aria nuova, idee nuove».
Allora Renzi fa di testa sua e si rivolge a consiglieri improvvisati, volanti. Se pensa al mercato del lavoro chiama direttamente l’ex ad di Luxottica Andrea Guerra: «Tu che faresti? ». Se immagina un intervento sulle tasse, si rivolge in via riservata all’ex ministro Vincenzo Visco. Non passa mai dalla segreteria. Impugna l’Iphone e telefona o spedisce messaggini.
Del resto, le segretarie lavorano all’impronta. Da due mesi Renzi ha individuato il capo della segreteria in Giovanni Palumbo, ex capo di gabinetto a Palazzo Vecchio. Uomo di fiducia, dunque. Ma Palumbo non si è ancora affacciato a Palazzo Chigi.
Dietro questo «casino organizzato », lo schema che diceva di usare Eugenio Fascetti lo scopritore di Cassano, il pericolo è in agguato. Nascono scontri e dualismi. Il gruppo di consiglieri economici del premier si sovrappone a Piercarlo Padoan. Il segretario generale Mauro Bonaretti, scelto da Delrio, viene marcato dal fedele (a Renzi) Tiscar e litiga di frequente con Lotti.
La Manzione guida i pre-consigli dei ministri e si confronta anche duramente con i tecnici dei dicasteri, compreso il più importante, Roberto Garofoli, capo di gabinetto dell’Economia. Lo fa compulsando in continuazione il telefonino: «Il presidente dice questo, il presidente chiede questo...». Così non nascono rose e fiori. Eppure Renzi sembra aver capito che la “solitudine” di mille giorni non può pagare.
Qualche tecnico ha fatto breccia nel suo cuore. Il caso di scuola è il consigliere Ilva Sapora, capo del cerimoniale, appartenente alla vecchia guardia. Lei si farebbe tagliare un braccio per il premier. E pensare che Renzi le ha ridotto lo stipendio di parecchie migliaia di euro. Un altro segnale è il commento che sarebbe sfuggito a Renzi qualche giorno dopo la scena del gelato nel cortile di Palazzo Chigi: «Mi sono pentito». Governare tutto da solo è un’impresa superiore anche alle forze del premier.
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