1. COME DELINQUENTI, IL COMUNE DI ROMA TRASFERISCE I MINORI (E SOLO I MINORI) DAL CENTRO IMMIGRATI DI TOR SAPIENZA DOPO L'ENNESIMO TENTATIVO DI ASSALTO. IL QUARTIERE ALLA PERIFERIA EST DI ROMA È ORMAI UNA POLVERIERA DI RAZZISMO E RABBIA 2. GRIDANO A POLIZIA E CARABINIERI SCHIERATI: "DEVONO CACCIARLI TUTTI PERCHÉ LA CITTÀ È DEGLI ITALIANI", "PROTEGGETE LORO E NON NOI MA LO STIPENDIO VE LO PAGHIAMO NOI" 3. UNA SIGNORA, MIMANDO LO SCORRERE DELLA CERNIERA DEI CALZONI, DICE: “OGNI VOLTA CHE VEDONO UNA DONNA, QUEI PORCI, SPECIE I PIÙ GIOVANI, TIRANO FUORI IL … TRALLALLÀ” 4. IL SINDACO MARINO SE VA A LONDRA INVECE DI ANDARE IN PERIFERIA A SCOPRIRE COME UN’ANONIMA E BRUTTA STRADA POSSA DIVENTARE UN TEATRO DI EVERSIONE POPOLARE 5. BASTA SFOGLIARE LE CRONACHE LOCALI PER VEDERE CHE MANIFESTAZIONI E SIT-IN SI MOLTIPLICANO DA NORD A SUD, NELLE BORGATE E NEI RIONI STORICI, CONTRO LE "BESTIE"

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1. TOR SAPIENZA, TRASFERITI GLI IMMIGRATI MINORENNI. OGGI ATTESO IL LEGHISTA BORGHEZIO

Ansa.it

 

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Vanno via i rifugiati del centro immigrati di Tor Sapienza dopo l'ennesimo tentativo di assalto. Almeno i minori vanno via, trasferiti ieri nel pomeriggio, scortati, in altri centri. "Per motivi di sicurezza", precisa il Campidoglio che ha accelerato lo spostamento. Una precisazione per spazzare via il dubbio che il trasferimento possa essere una resa alla protesta più violenta dilagata anche nonostante i tre giorni di alta tensione.

 

E in serata il ministro Alfano ha convocato il prefetto Pecoraro e il Questore D'Angelo, tutori dell'ordine pubblico in città. Alla fine dell'incontro è stato puntualizzato che la decisione di trasferire i minori (e solo i minori) dal centro immigrati "é stata del Comune, in condivisione con il prefetto. Questo perchè i minori si trovavano a pianoterra del centro, la parte più inagibile. L'area permane vigilata".

 

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Anche la Chiesa scende in campo con il presidente della Cei Angelo Bagnasco che lancia un appello: "Bisogna cercare di superare la paura dell'altro e del diverso cercare di fare posto a chi approda nella nostra vita per motivi di sofferenza". Ma il quartiere alla periferia est di Roma è ormai una polveriera di razzismo e rabbia. "Qui non entrate, non è per voi": queste le parole rivolte stamani in un bar a due immigrati che hanno innescato l'ennesimo incendio.

 

E dalle parole si è presto passati ai fatti: "bastardi, scendete" e poi lanci di bottiglie contro il centro di immigrati e lanci di oggetti dalle finestre, in risposta, con la polizia che ha fermato più di un abitante che tentava di entrare nel centro di via Morandi. Fatti che hanno accelerato il trasferimento cominciato nel primo pomeriggio e che ha riguardato 45 minorenni non accompagnati fatti salire a bordo di quattro automezzi scortati da due volanti della polizia e portati in altri centri della Capitale e in provincia. "Vinciamo solo quando li cacciamo tutti, questa è una vittoria a metà", grida rabbioso un anziano. "Devono mandarli fuori dal raccordo perché la città è degli italiani"; gli fa eco una donna.

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Ma il Comitato di quartiere, l'anima pacifica di Tor Sapienza, reagisce all'ondata razzista degli ultimi giorni: "Il trasferimento dei ragazzi del centro di accoglienza è una sconfitta dei cittadini e per questo ringraziamo la politica. In tutto ciò chi paga è il più debole, il cittadino perché paga gli scotti di tutti. In questo caso i cittadini come esseri umani ci stanno rimettendo la loro dignità, e non faccio distinzione, sono sia gli immigrati sia gli italiani a pagare".

 

Ma in strada a Tor Sapienza vince la rabbia. Contro tutti. Istituzioni comprese. "Proteggete loro e non noi - gridano donne e uomini a polizia e carabinieri schierati davanti al centro - ma lo stipendio ve lo paghiamo noi". Per non parlare dei politici, compresi quelli che hanno annunciato la loro presenza.

 

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Il leader leghista Borghezio oggi andrà a Tor Sapienza. "Vuole venire Borghezio? Vuole venire Salvini? Vengano pure, cacceremo via anche loro. Noi non facciamo la guerra agli immigrati, facciamo la guerra alle istituzioni che non ci proteggono da chicchessia, stranieri o no. I politici vengono e fanno vetrina", dicono i cittadini di Tor Sapienza.

 

Che non risparmiano un primo cittadino che è anche il loro sindaco, oggi a Londra. "Qui non si è ancora visto, è una vergogna", urlano. Quello che resta oggi sono le lacrime di dolore e gli abbracci degli operatori del centro di via Morandi ad accompagnare i ragazzi minorenni lontano dalla paura e dalla violenza. Dopo che erano fuggiti dalla paura e dalla violenza della guerra.

 

2 - GUERRA TRA POVERI I CENTO FOCOLAI D’ITALIA

Francesca Paci per “la Stampa

 

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Poi a un certo punto anche le famiglie alzano la voce. Non i nerboruti rappresentanti della protesta dei Forconi, non i professionisti dell’antagonismo No Tav, non i secessionisti nostalgici dell’Italia pre-unitaria e neppure il «lumpenproletariat» delle periferie dove, come nella romana Tor Sapienza, la sopravvivenza diventa spesso guerra fra poveri.

 

Quando viene meno (o si percepisce che venga meno) il contratto sociale scendono in piazza le famiglie, la classe media, la maggioranza solitamente silenziosa, quelli che magari versano 10 euro al mese per l’educazione di un bambino africano ma alla lunga non sopportano più di portare all’asilo il proprio dribblando con il passeggino cassonetti traboccanti spazzatura, venditori di merce rubata accampati sul marciapiede, buche stradali che neppure a Baghdad.

 

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Allora il gioco si fa veramente duro. Le famiglie italiane sono esasperate. Basta sfogliare le cronache locali per vedere che manifestazioni e sit-in si moltiplicano da Nord a Sud, in provincia e nelle grandi città, nelle borgate e nei rioni storici.

Sabato scorso a Roma, quartiere San Giovanni, 10 minuti a piedi dal Colosseo, almeno 150 persone si sono radunate sotto la statua di San Francesco per denunciare l’incuria che dilaga in barba all’aumento degli estimi catastali (e delle tasse).

 

«Siamo persone di ogni colore politico accomunate da un’indignazione trasversale che non punta l’indice contro gli immigrati ma contro il degrado» spiega l’avvocato Gaetano Lauro Groppo, presidente del comitato locale Villa Wolkonsky, una cinquantina di abitanti tra cui un americano e un francese. Il cahier de doléances è zeppo: il mercato illegale a ridosso delle mura Aureliane, la concentrazione di rom «sempre più aggressivi», la scarsa manuntenzione delle strade, l’illuminazione carente, «un abbandono che si aggrava con la chiusura dei negozi impossibilitati a pagare affitti da 5 mila euro al mese».

 

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A Roma non c’è solo la bomba Tor Sapienza. Fino al 2004 i cittadini, sedotti dallo slogan avveniristico «la periferia fa centro», scommettevano sul recupero dei sobborghi al punto da pagare 210 mila euro per 80 metri quadrati a Tor Pignattara, promettente hinterland capitolino. Oggi che contrariamente alle aspettative è il centro a periferizzarsi la stessa casa viene valutata 200 mila euro.

 

Si fa presto a dire razzismo. Non perché non ce ne sia, ma perché poi a Padova capita d’incontrare il rapper marocchino Abdelhamid Talibi che racconta di come molti suoi connazionali abbiano votato per il sindaco leghista Bitonci in rivolta contro lo spaccio di droga a cielo aperto. Il suo gruppo, i Fratelli Kamikaze, canta in italiano i problemi dei padovani: «Denunciamo la criminalità, siamo dalla parte delle forze dell’ordine, vorremmo che i giardini pubblici non fossero appannaggio della delinquenza, una delle nostre canzoni più popolari, “Città del peccato”, parla proprio di questo disagio diffuso».

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Roma, Padova ma anche Milano, dove all’inizio dell’estate 400 persone hanno organizzato un presidio per contestare la diffusione a macchia d’olio dei campi nomadi nel quartiere Adriano e per lamentare «il disinteresse del Comune verso le difficoltà di una zona da cui i residenti storici stanno migrando».

 

E poi Prato, teatro di una singolare protesta da parte dei genitori che, la scorsa primavera, per rivendicare l’uso delle altalene di piazza Mercatale «occupate» dagli spacciatori e dunque di fatto inaccessibili ai bambini, hanno coperto il cartello con le disattese regole del parco con una nuova insegna: «Questo giardino è stato concesso in comodato d’uso a tossicodipendenti e prostitute».

 

Un anno fa a Perugia furono anche le associazioni studentesche dell’università degli stranieri a invadere il centro storico per chiedere il recupero di piazza Grimana.

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E a settembre a Nogaro di San Giorgio, provincia di Udine, si sono mobilitati perfino i nonni, colonna portante del sistema familiare italiano, disposti a supplire perfino alla carenza di nidi a condizione però di poter contare almeno sul parco pubblico di piazzetta XXV Aprile, dove invece oggi nella migliore delle ipotesi i nipotini possono giocare alla guerra tra tombini rotti, vetri, erba alta e incolta.

 

Le famiglie italiane medie sono pazienti per antonomasia. Quello zoccolo duro e invisibile di irriducibili cittadini su cui uno Stato come il nostro può contare quando la crisi impone di stringere la cinghia. Ma che succede se nel loro piccolo anche le formiche si arrabbiano? I grandi conoscitori dell’animo umano come Shakespeare insegnano a temere la rabbia dei penultimi.

 

 

3. “BASTA CON I NERI, SONO TUTTI BESTIACCE” COSÌ IL GHETTO TRASFORMA LA RABBIA IN RAZZISMO

Francesco Merlo per “la Repubblica

 

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Eppure Ambra, la ragazza bionda che subì il tentativo di stupro, anche a me dice: «Non erano neri, non erano musulmani ». Ha raccontato alla polizia di 3 rumeni, e invece sono i neri e i musulmani che ora stanno cacciando. E non è il primo pogrom della Repubblica italiana contro gli immigrati solo perché manca il sangue. Di sicuro c’è stata la rivolta ed è in stadio avanzato l’espulsione del capro espiatorio: erano 81 e ne sono rimasti 35.

 

Difatti ben più della metà, 46 egiziani, tutti minorenni, ieri mattina sono stati portati altrove: «Per proteggerli ovviamente» dice, con enfasi eccessiva ed artefatta, il dottor Fabozzi, che gestisce l’ordine pubblico in ben cinque periferie con l’aria dello sceriffo buono e «Dio sa quanta umiltà e quanto rispetto ci mettiamo».

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Ma lui, il ministro Alfano, il questore e pure il Comune sanno bene di averli trattati come delinquenti. Perciò, forse per risarcirli, il poliziotto scuote la testa quando una signora, mimando lo scorrere della cerniera dei calzoni, dice: «Ogni volta che vedono una donna, quei porci, specie i più giovani, tirano fuori il … trallallà».

 

La signora racconta adesso il tentativo di stupro, ma senza parlare dei rumeni. Comincia dal buio «che dobbiamo ai bastardi della società elettrica». Poi cambia soggetto e mi invita ad andare con lei «a contare i preservativi nel parco». Passa il filo del racconto ad un’amica e a poco a poco il mondo diventa un capogiro collettivo di donne e ancora donne: «La farebbe passare sua figlia in mezzo alle prostitute della Prenestina?», «e sa quanti sono i transessuali nell’antico Mattatoio?» e «dovrebbe vedere la sera le Mercedes che vengo a prendere le loro donne per portarle a battere».

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Arriviamo così ai «fuochi neri che ogni notte si alzano dai due campi Rom, dicasi due». Quindi torniamo al tentativo di stupro, ma sempre senza quel dettaglio di verità sui violenti che erano rumeni. Si capisce bene che le spinge e le unisce non il razzismo, ma l’orgoglio di appartenere alla periferia oltraggiata, e che il racconto è modellato sulle ragioni superiori della Comunità, discusse e approvate al bar Lory. E forse è ancora l’amore per questi luoghi, che solo per pigrizia e conformismo raccontiamo come deserto di affetti, che Ambra ora si nega ai giornalisti. «Mio marito non vuole» dice, ed è protetta dalle amiche che la circondano a cordone.

 

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Sarebbe stata un bella lezione per il sindaco Marino. Qui infatti non è difficile capire come si diventa razzisti e come nasca l’intolleranza dalla povertà, dalla tracimazione rancorosa della solidarietà (generosità?) di ghetto: «Noi viviamo in tre con le 500 euro della pensione del nonno. Sa quanto guadagnano quelli della cooperativa “Un sorriso” che gestiscono gli immigrati? Trentacinque euro al giorno per ogni immigrato. E dove finiscono i soldi? Sa quanti sono “i bravi ragazzi” che ci mangiano? Quaranta. Si ricorda quanti erano quelli di Ali Babà?».

 

E mi mostra il suo vecchio Nokia tenuto insieme con lo scotch: «Quelli hanno iPhone e iPad». Tra i ragazzi di Ali Babà incontro Gabriella che ha stampata sul viso l’idea forte e generosa che bisogna arredare le fauci dell’arretratezza con il sorriso e la bontà d’animo; un altro di Ali Babà somiglia invece al quartiere che combatte, ha dentro la stessa violenza ma di segno opposto: «Ci chiamano scimmie».

 

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Anche a te che sei romano? «Soprattutto a me». Una signora con la tuta e la Kefiah attorno al collo li copre di insulti, li accusa di tenere chiusi i ragazzi immigrati, di punirli «e mentre quelli si menano tra loro, voi venite qui a farci la lezioncina». Adesso i codici saltano davvero e viale Morandi diventa un pandemonio di sudori, di odori, di tensione.

 

Né il sindaco Marino né il suo assessore alle periferie se la sono sentita di venire qui in periferia a scoprire insieme a noi come un’anonima e brutta strada possa diventare un teatro di eversione, e con quanta facilità le belle facce delle borgatare, con la testa incassata nelle spalle, si deturpino nell’odio. «Bestiacce, sono bestiacce» si è messa a urlare quella Mamma Roma con la Kefiah che l’odio ha trasformato in megera.

 

La barbarie è scenica perché stasera la trasmissione Matrix trasformerà in piazza universale della violenza il razzismo scombiccherato di un mondo che è ancora piccolo piccolo, più “Accattone” di Pasolini che fu girato qui accanto al Quarticciolo, che racaille, feccia e sguardi assassini di banlieusards.

 

Ci sono le telecamere ad ogni angolo del borghetto Tor sapienza che solo ai margini, lungo viale Morandi appunto, diventa ghetto suburbano e umanità confinata, quando non ci sono più le piazze, i mercati, le strade, le fontane e le case anni venti di mattoni rossi, ma cominciano i palazzoni grigi di edilizia popolare degli anni sessanta, il cemento scrostato che mostra il ferro, l’acqua che cola in strada da chissà dove, qualche vetro rotto. Forse meriterebbero “il rammendo” di Renzo Piano queste cinquemila famiglie romane che hanno preso d’assedio gli 81 immigrati con diritto d’asilo. E i cinquanta poliziotti che li hanno chiusi dentro, prima di iniziare l’esodo?

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Solo i cassonetti arredano viale Morandi. Mi racconta Alessandro Rosi, che è assessore nel municipio di quartiere, che «la notte si raccoglie un’umanità di cercatori di immondizia, vagabondi per i quali non esiste la strada del ritorno, i nuovi miserabili che hanno ormai spazzato via la mitologia del povero buono e filosofo, del barbone poeta, sagome di uomini e donne che si dileguano con il loro bottino di niente».

 

No, davvero non si giustifica l’assenza del sindaco dei diritti, il primo cittadino giacobino che nei comizi elettorali aveva promesso di «trasformare Roma nella città dell’accoglienza». In tutti questi giorni di passione non ha trovato un minuto per venire qui, a Tor Sapienza, e addirittura ieri Ignazio Marino, sempre più sconnesso con la realtà, è volato a Londra per parlare di car sharing, ancora di quelle auto che sono ormai la sua ossessione.

 

Riprovo a far parlare Ambra che è una bionda di 28 anni con due bellissimi bambini: «Sono mamma e casalinga». I capelli lunghi raccolti dietro, un bel viso con i lineamenti appena marcati, nulla di appariscente, è abbronzata, ha le unghia smaltate nere ma con tanti brillantini, i pantaloni da ginnastica e il giubbetto screziato: «Ero a passeggio con il cane. Ed era buio».

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L‘hanno aggredita e il pitbull ha reagito. Da quel momento il quartiere si è mobilitato e, senza che nessuno la fomentasse, la rabbia ha acceso il bar Lory, la farmacia, il piccolo supermercato, il negozio di parrucchiere, la rivendita di tabacchi, e gli interni di quegli appartamenti tutti uguali e tutti con le serrande chiuse, dietro alle quali si indovinano mille occhi di arrabbiati con i cinque sensi tesi.

 

Ce l’hanno tutti contro i neri e contro i mussulmani che lo Stato ha ricoverato in quel palazzo a sei piani, 3000 metri quadri gestiti appunto dalla cooperativa “Un sorriso” per conto del ministero e del comune. Li hanno assediati, hanno assaltato il portone di ingresso, hanno lanciato sassi e bottiglie contro la polizia, hanno danneggiato 8 volanti. Hanno dato botte e le hanno prese. E nella foga, durante una carica, è stata picchiata anche Ambra, che dunque si è sentita aggredita due volte. E le ha prese un cameramen della trasmissione Virus.

 

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La sera arrivano pure gli spacciatori, i piccoli boss. Il dottor Fabozzi dice che «hanno il volto coperto coi cappucci, sono veloci, incombono, cercano di organizzare », ma non sono ancora i nomadi metropolitani raccontati dai nuovi teorici dell’estremismo, si chiamano Romolé, Antò, zia Orsa, Mariangela, Francé,… E il marito di Ambra si chiama Toni.

 

«È vero, abbiamo bruciato i cassonetti per farci notare» mi dice un uomo piccolo, rotondo e imperioso mentre dal bar esce Carletto, un ragazzo dall’aria fragile che agita le mani come per strangolare qualcuno, il berretto è girato al contrario, l’aria è da ‘ora ci penso io’: «Li dobbiamo caccia’ tutti ‘sti stronzi che ce dicono che semo razzisti». L’uomo che mi stava parlando dei cassonetti in fiamme si guarda in giro: «Dateglie ‘na botta a Carletto, che se no finisce male».

 

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Da quel sabato, la rabbia di Tor Sapienza ha attirato l’attenzione di tutta l’Italia e ovviamente della politica, l’altra notte la deputata di Sel Celeste Costantino ha dormito dentro la casa assediata con gli immigrati, ieri pomeriggio è arrivata Giorgia Meloni e li ha invitati a non prendersela «con i poveri immigrati ma con Marino che non è venuto, che vi ha abbandonato ». Non è ancora banlieue perché Roma non è ancora metropoli ma forse queste sono prove generali di modernità.

 

Incontro la signora con la Kefiah, adesso siamo soli io e lei, parliamo, mi fa vedere che «il verde è molto curato», è fiera di tagliare l’erba, adesso ha il sorriso timido, le dico che poco prima mi aveva spaventato il suo odio. Ha sempre vissuto qui e ricorda che una volta era un mondo fertile e ordinato, un’isola … «ma le cose vanno troppo male, e quando tutto va male anche la ragione va in malora». Poi mentre mi saluta: «Di lì però se ne devono andare ».

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