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Piero Colaprico per “la Repubblica”
Roma, via Nazionale, portone al civico 230: «Riaprite quell’archivio», dice la Corte di Cassazione, e tornano ancora in un’aula pubblica Niccolò Pollari, ex capo del Sismi, e Pio Pompa, suo collaboratore, e «caporedattore » occulto di uno di staff di giornalisti trasformati in fonte di notizie per i detective.
Questa storia, nata e cresciuta nell’Italia berlusconiana, sembra non aver mai fine, ma in alcune «modalità » ricorda gli armadi, le informazioni che sulle stragi, da piazza Fontana in poi, spariti dal controllo del Parlamento.
Ricapitolando velocemente i fatti, nel 2007 Pompa – «uomo di fiducia» di Pollari - era stato trovato in possesso di due dvd e di un cd. C’era dentro di tutto un po’, informazioni su magistrati come Armando Spataro, Giovanni Salvi, Paolo Mancuso e altri – e infatti la presenza di giudici romani nei dossier ha spostato la competenza dell’indagine giudiziaria da Roma a Perugia - e sull’Anm.
C’erano schede su giornalisti, su vari parlamentari e su movimenti sindacali. Pompa, per altro, sembrava avere un «piano», in cui parlava di «disarticolare » la magistratura. Aveva violato, anche questa l’accusa, la corrispondenza elettronica di Medel, associazione di giuristi europei. Ma a che titolo?
E poi, se i giornalisti non possono collaborare (dice la legge) con gli 007, come mai veniva retribuito con denaro Renato Farina, detto «Fonte Betulla», che per altro faceva quasi da agente provocatore nei confronti di Spataro e Ferdinando Pomarici, e cercava di sapere il contenuto degli articoli di Repubblica (sul sequestro da parte della Cia di un controverso iman, Abu Omar) firmati da Carlo Bonini e Giuseppe D’Avanzo? Pollari e Pompa, insomma, erano accusati di peculato, furto ai danni dello Stato, per avere impiegato «per scopi palesemente diversi» da quelli istituzionali del Sismi, denaro, risorse umane e materiali del servizio di intelligence.
I due avevano minimizzato e opposto – questo il punto cruciale - il segreto di Stato. Per la Sesta sezione penale della Cassazione questa linea difensiva non regge, i supremi giudici hanno accolto il ricorso con il quale il Procuratore generale di Perugia e il pubblico ministero avevano contestato l'archiviazione del peculato e l'«apposizione» del segreto di Stato. Vari magistrati (non tutti), finiti nei dossier, si erano costituiti parte civile anche in Cassazione e avevano appoggiato il ricordo contro il proscioglimento da parte del gup di Perugia (risaliamo al primo febbraio 2013).
Da ieri, comunque, lo scudo del segreto di Stato è caduto e tra un mese, attraverso la lettura delle motivazioni, si comprenderà meglio perché. In ogni caso, non è la prima volta che la Cassazione si era rivolta anche alla corte costituzionale per stabilire quanto deve essere ampia un’immunità e quanto ampio il segreto di Stato. Cioè, quali sono i con fini che separato l’azione in nome del governo dall’azione, e quindi dall’abuso, in nome falsamente di un governo, ma in realtà di qualche incontrollabile potentato interno od estero?
«Intendo rispettare il dovere del segreto di Stato. Esercitare il diritto di difesa significherebbe dover affrontare temi riguardanti la sicurezza interna ed internazionale, cioè proprio i beni alla cui tutela è preposto il segreto di Stato», diceva Pompa in aula ». Per il pm Massimo Casucci, che ha vinto il braccio di ferro in Cassazione, quella avanzata da Pompa era una lettura dei fatti «palesemente strumentale». Gli atti ora tornano a Perugia, ma davanti a un altro giudice delle udienze preliminari.
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