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DAGOREPORT - GIORGIA MELONI SOGNA IL FILOTTO ELETTORALE PORTANDO IL PAESE A ELEZIONI ANTICIPATE?…
1- DEMOCRATICI: PRESSING SU MONTI E VOGLIA DI URNE
Monica Guerzoni per "il Corriere della Sera"
à una suggestione quasi inconfessabile, eppure anche al vertice del Pd comincia a farsi strada l'idea che il voto anticipato non sarebbe poi una così grande sciagura. Con tutta la cautela del caso - perché Bersani ha giurato che non sarà lui a staccare la spina al professore - le voci critiche si vanno facendo più esplicite.
E il fatto che l'obiettivo non sia quello di far cadere il governo, ma di condizionarne l'opera, non tranquillizza più di tanto Palazzo Chigi. Leggere un ultimatum nelle riflessioni di Bersani al coordinamento di ieri sera sarebbe troppo, ma non deve aver fatto piacere al presidente del Consiglio sentirsi dire, sia pure con estremo garbo, che «da troppi mesi non c'è qualcosa di positivo» per il nostro Paese.
La vittoria del socialista Hollande in Francia e le amministrative in Italia, con il PdI polverizzato e il Pd che ha tenuto botta sotto i colpi di Grillo e dell'astensione, hanno messo a dura prova la già anomala maggioranza. Per dirla con Beppe Fioroni, che ironizza sul trio Alfano, Bersani, Casini, «A è dissolto, C è in rianimazione e B combatte per sopravvivere».
Persino un moderato come l'ex ministro, pur convinto che la fine anticipata della legislatura «sarebbe una follia», ritiene «innegabile che questo voto non sia corroborante per Monti» e chiede al capo del governo di tenerne conto: «Più fatti e meno chiacchiere».
E quando Massimo D'Alema afferma che «senza il Pd l'Italia non può essere governata» guarda alle Politiche del 2013, ma al contempo rilancia l'esigenza di rinegoziare l'accordo di governo. Non si tratta di far cadere Monti, tranquillizza il presidente del Copasir, ma intanto lo invita a tener conto di risultati elettorali che hanno portato a galla «la sofferenza».
A Montecitorio, D'Alema ha parlato a lungo con Nichi Vendola. E se il leader di Sel preme sul Pd per costruire un asse contro «le politiche di strangolamento sociale» - convinto che il centrosinistra vince quando si schiera dalla parte dei più deboli e perde quando diventa, come in Grecia, un partito liberista - a sua volta il Pd è in pressing su Casini, perché «scelga da che parte stare». Il nodo sono le scelte economiche.
Già lunedì sera Rosy Bindi chiedeva all'esecutivo «un cambio di passo», allentare la pressione sui più deboli e «fare la voce forte con i forti». Il che, tradotto in soldoni, vuol dire una corposa patrimoniale a carico dei ricchi. E ieri la presidente del Pd dava voce al sollievo di molti sul fronte della legge elettorale: «La cosa buona di questo voto è che ci siamo tolti dai piedi il sistema proporzionale tedesco, col quale il caos greco sarebbe inevitabile».
Cestinato (o quasi) il semiaccordo raggiunto con Pdl e Terzo polo sul sistema di voto, il centro delle riflessioni al vertice del Pd è il come rinegoziare il sostegno al governo. Che la lealtà a Monti non sia in discussione lo dicono tutti almeno come premessa, ma la novità è l'intensità delle critiche al governo. «Se Monti fa il mediatore tra Francia e Germania sbaglia, deve stare con Hollande - riflette Matteo Orfini, ala sinistra della segreteria -. La nostra disponibilità è eterna, ma alzeremo l'asticella».
Davvero non vi sta venendo voglia di votare? «No, ma non andremo avanti a ogni costo. Se non c'è un salto di qualità in Europa non è detto che si debba per forza arrivare a fine legislatura. Votare non fa mai male, non sarebbe una tragedia epocale...». Sono anche questi i sentimenti che agitano la pancia e il cuore del Pd.
L'ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano, ha coniato il termine «equiluppo» per condensare le richieste dei democratici: «Servono equità e sviluppo, attenuate il rigore e dateci una speranza - è il messaggio a Monti di un "antiliberista doc" -. Non si può trasformare il rigore in rigorismo ottuso. Fa bene ai premier se tiriamo la corda, senza spezzarla».
Ermete Realacci rimprovera a Monti «l'incapacità patologica di dare una speranza» e il suo giudizio sull'impasse del governo lo declina con Seneca: «La compagine è molto più debole del previsto, non esistono venti favorevoli per il marinaio che non sa dove andare». Ma correre al voto non si può, perché «il Paese non reggerebbe» e se l'Europa dovesse svoltare verso la crescita l'Italia non potrebbe raccoglierne i frutti.
2- GASPARRI: MEGLIO IL VOTO IN AUTUNNO
Scrive Francesco Verderami per il "Corriere della sera": E' vero che nel Pdl sono in tanti a pensarla come Gasparri, secondo cui «se andassimo al voto in autunno perderemmo, ma se andassimo al voto in primavera ci perderemmo». Il punto è che Berlusconi non vuole assumersi la responsabilità di una crisi. Medita semmai l'idea di alzare i toni per dar l'idea di essere passato all'opposizione, confidando che il governo duri comunque fino al 2013, così da avere il tempo per costruirsi un'immagine nuova e costruire intanto una nuova coalizione.
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