SACCOMANNI-LETTA PENSA DI PRIVATIZZARE L’ENI E LA RAI - UN PAESE CON LE PEZZE AL CULO SI PUO’ PERMETTERE TRE RETI PUBBLICHE PER MANDARE IN ONDA LE SOLITE CAZZATE?

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Rosaria Amato per "la Repubblica"

La Rai potrebbe essere privatizzata, anche se in ogni caso «rimarrebbe la Tv pubblica». Lo ha detto il ministro del Lavoro Fabrizio Saccomanni, intervistato da Fabio Fazio per la trasmissione "Che tempo che fa". Rispondendo a una domanda sulla possibilità di privatizzare Rai ed Eni, Saccomanni ha risposto che il governo sta «guardando ogni possibile soluzione» per «dare una mano alla riduzione del debito pubblico».

Il programma di privatizzazioni che verrà annunciato entro la fine dell'anno «coprirà sia proprietà immobiliari dello Stato, ma anche partecipazioni azionarie, che sono ancora numerose anche se veniamo dopo un percorso di privatizzazioni significative». E «la Rai è una delle società di cui lo Stato è azionista».

Ad alleggerire il peso del debito potrebbe contribuire anche l'uscita dalla crisi, che però per l'Italia non è così scontata, ha sottolineato Saccomanni: «Io credo che la crisi globale sia obiettivamente finita. Ora dobbiamo vedere se vogliamo agganciare questa ripresa, oppure se abbiamo un'altra fase acuta di instabilità politica che costerà molto di più».

Soprattutto sotto il profilo dell'occupazione: il lavoro ha pagato un prezzo alto alla crisi, gli ultimi dati Istat certificano sei milioni di disoccupati nel secondo trimestre di quest'anno. Di questi, 3,07 milioni sono disoccupati "ufficiali", mentre 2,99 sono inattivi, una categoria di nascita recente per la statistica, ma non meno preoccupante.

I disoccupati cercano lavoro e non lo trovano; gli inattivi non lo cercano, in buona parte perché sono convinti che non lo troverebbero. Tre anni fa quando la Banca d'Italia propose la loro inclusione tra le file dei disoccupati l'allora ministro del Lavoro Sacconi parlò di «dati esoterici», ma è da un bel pezzo che la statistica ufficiale affianca al tradizionale tasso di disoccupazione quello di mancata partecipazione.

Ed è il secondo, ancor più che il primo, a riflettere la gravità della situazione italiana: nel Rapporto Istat 2013 si sottolinea che mentre il nostro tasso di disoccupazione 2012 era in linea con la media europea (10,7% contro 10,4%) quello di mancata partecipazione è molto più alto, 20% contro il 13,5% della media Ue27. Ma anche tra chi lavora ci sono situazioni problematiche. A cominciare dai 2,5 milioni di occupati con un part-time "involontario", imposto cioè dal datore di lavoro, oltre 200.000 in più rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso.

Urge «un progetto complessivo e di ampio respiro per l'Italia», come chiede l'Ugl, commentando i dati. Ma nel frattempo i giovani prendono atto del declino dell'industria e scommettono sulla crescita dei servizi.

Nel 2013, rileva la Coldiretti, si è avuta una crescita consistente delle iscrizioni nelle scuole alberghiere di turismo e agraria, oltre 46.000 iscritti contro i 21.521 che hanno invece scelto istituti professionali a indirizzo industriale. Un orientamento confermato anche dalle iscrizioni universitarie: dal 2008 a oggi la Facoltà di scienze agrarie ha registrato un aumento del 45%. Oltre il 50% degli italiani, secondo un sondaggio della Coldiretti, ritiene che cuoco e agricoltore siano le professioni con maggiori possibilità. E i giovani agiscono di conseguenza.

 

 

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