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Fausto Carioti per “Libero Quotidiano”
«Se avessi saputo che era così, non lo avrei candidato». Matteo Renzi non è contento. Sa che Roberto Giachetti corre sulla salita del Campidoglio con i settanta chili di Ignazio Marino sulla schiena, e che per lui sarebbe già un buon risultato arrivare al ballottaggio.
Non si fa illusioni su Napoli, dove il sindaco uscente Luigi De Magistris è un osso durissimo per tutti gli altri candidati. Confida in una vittoria di Piero Fassino al ballottaggio torinese e spera che Virginio Merola sia confermato sindaco di Bologna al primo turno: quanto basta per dire che il Pd non ha franato. Ma è Milano che farà la differenza. E lì le cose non vanno come sperato.
«Lui mi stima, io lo stimo», disse Giuseppe Sala un giorno di gennaio, riassumendo i suoi rapporti con Renzi. Ecco, oggi non è così. La cosa non è più reciproca.
Amore che vieni, amore che vai. «Prenditi il tempo per decidere, fai le tue riflessioni, ci rivedremo con calma dopo il mio viaggio a Malta e in Turchia»: erano gli inizi di novembre e Renzi, raccontava l' Unità in versione romanzo Harmony, usava queste parole per sedurre Sala, tentato dall' avventura politica ma non ancora convinto.
La resistenza del commissario di Expo sarebbe durata ancora pochi giorni. Quindi le primarie, la vittoria con il 42% dei voti (meno del previsto, ma niente di grave), l' incoronazione, Renzi che promette pieno appoggio al "suo" candidato. Doveva essere l' inizio dell' idillio, è stato l' inizio dei problemi.
Parte della responsabilità è di Silvio Berlusconi. In uno dei pochi gesti di vera opposizione fatti in questa legislatura, il Cavaliere ha tirato fuori dal cilindro Stefano Parisi.
Cioè: non un forzista milanese, uno dei suoi ex ministri o comunque un politico di professione, ma un manager di prima fascia che mastica politica da sempre, l' uomo che assieme a Gabriele Albertini ha rilanciato la città e soprattutto il candidato giusto per impedire la fuga dei grandi e piccoli borghesi verso il rivale scelto da Renzi.
Al resto ha provveduto Sala stesso, scoprendo il fianco a Parisi e facendogli conquistare un elettore dopo l' altro, anche grazie a sortite poco credibili. Aveva iniziato già sotto le primarie, ma almeno in quel suo ritratto ricalcato sull' icona di Che Guevara e pubblicato su Instagram c' era ironia. Poi però ci ha preso gusto, qualcuno deve avergli spiegato che doveva recuperare terreno a sinistra anziché al centro e Sala ne ha infilata l' una dietro l' altra: lui che canta Bandiera Rossa, lui (ex city manager di Letizia Moratti, sindaco forzista) che in realtà «ha sempre votato Pd, e prima Ds e Pds e prima ancora Pci».
E forse proprio perché preso da questa voglia di piacere all' elettore di sinistra, o magari davvero perché quando hai tanta roba qualcosa te la scordi, è apparso sulla scena pure il Sala che si dimentica di riportare nelle proprie dichiarazioni patrimoniali la casa di Saint Moritz e qualche altro mattoncino. Un disastro. Mentre i sondaggi cambiano e Parisi, che non sbaglia un colpo, rimonta.
Il 13 aprile il candidato cancella una cena di raccolta fondi a Londra per volare di corsa a Milano per incontrare Renzi: ma quello si defila, ha altro da fare e l' uscita pubblica congiunta nel centro sociale Barrio' s salta per «motivi organizzativi». Per avere udienza, il giorno dopo Sala è costretto a infilarsi nell' auto blu che conduce il premier all' aeroporto di Malpensa.
Un colloquio privato nel quale Renzi, racconterà ai suoi tornato a Roma, esprime a Sala il proprio malcontento senza giri di parole. Per vederli insieme dinanzi ai fotografi bisognerà aspettare l' 8 maggio, al circolo Acli di Brambate. Un incontro organizzato in fretta, con pochi spettatori e qualche frase di circostanza. L' amore è diventato gelo.
E Renzi, in una delle sfuriate che seguono la lettura dei sondaggi, fa quello che non fa mai, e cioè ammette di essersi sbagliato: «Se avessi saputo che Sala era così, non lo avrei mai candidato». Troppo tardi, il premier deve continuare a recitare la parte. Ma lo fa sempre più di malavoglia.
Prossimo appuntamento alla chiusura della campagna elettorale, quando accanto a loro dovrebbe esserci Giuliano Pisapia. Davvero il minimo sindacale, per il capo del governo e segretario del partito sotto le cui insegne Sala si candida. Un Renzi che ostenta sempre più il proprio distacco:
«Beppe Sala vincerà le elezioni? Ha tutte le condizioni per farlo, ma non sono mica il mago Otelma. Se la gioca con Parisi, è una bella sfida». Parole da spettatore, non da partecipante. Un modo per dire che, se a Milano sarà sconfitta, apparterrà a Sala e non al premier.
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