DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Tommaso Labate per “il Corriere della Sera”
Guido Martinetti e Federico Grom 2
«Guido, perché non prendi in mano tu l’organizzazione di Forza Italia?». L’ultima volta era stata l’anno scorso. Silvio Berlusconi a Guido Bertolaso, l’uomo che per lui aveva rappresentato una specie di Mister Wolf. Ma, senz’altro a causa di quella parabola discendente coincisa con il coinvolgimento nell’inchiesta sulla «cricca» sorta all’ombra della Protezione Civile, Bertolaso aveva detto «no, grazie».
Guido Martinetti e Federico Grom
E per quel posto era stato chiamato Marcello Fiori, suo ex braccio destro. Bertolaso è solo il più celebre di una lista di presunti «salvatori della patria» o fantomatici «papi stranieri» ai quali Berlusconi ha pensato di affidare il compito di «risollevare il partito». Ma la storia degli «unti dell’unto del Signore» è costellata di clamorosi abbagli e mastodontiche fregature.
A metà degli anni Duemila, brilla la stella di Maurizio Scelli. Abruzzese, classe ‘61, Scelli passa dall’organizzazione dei viaggi a Lourdes con l’Unitalsi alla guida della Croce Rossa. Nel 2004 è tra i protagonisti del rilascio di Simona Pari e Simona Torretta, le due volontarie italiane rapite in Iraq. L’anno dopo è in rampa di lancio per accaparrarsi la benedizione berlusconiana. Come? Col lancio di un suo movimento, «Italia di Nuovo».
Per il varo della creatura, che nelle intenzioni berlusconian-scelliane dev’essere una specie di «settore giovanile» di Forza Italia, viene scelto lo spaziosissimo Palamandela di Firenze. Ed è un disastro, visto che gli spalti deserti costringono Berlusconi ad aspettare per ore in Prefettura in attesa di un «tutto esaurito» che non arriverà mai.
In Parlamento, Scelli ci finirà comunque, ma sempre ai margini. «Sono una Ferrari e mi tengono in garage», mandò a dire al suo vecchio mentore a mezzo stampa. E per finire a fare lo stesso mestiere del Cavaliere, Scelli dovette accontentarsi della presidenza di una squadra di calcio, il Sulmona.
È andata meglio a Guido Martinetti, fondatore di Grom. Berlusconi lo vede in tv, si illumina — «Questo è perfetto» — e lo fa testare da alcuni sondaggisti. Ma Martinetti declina, dichiarandosi un supporter di Renzi e manifestando la sua volontà di «continuare a fare il gelataio». È l’alba dell’estate 2012. Qualche mese dopo, nel proscenio berlusconiano appare all’improvviso un signore modenese che si presenta come avvocato e banchiere, industriale e assicuratore, immobiliarista ed editore.
Un Berlusconi bonsai che, all’anagrafe, fa Gianpiero Samorì. Si mette alla testa di un «Movimento Italiani in Rivoluzione», qualcuno mormora che il Cavaliere voglia schierarlo alle primarie del centrodestra e, quando le primarie scompaiono dai radar, viene inghiottito dal nulla anche lui. Riapparirà nel maggio scorso, candidato senza speranza alle Europee.
A quel tempo, tra i frequentatori di Palazzo Grazioli viene segnalato anche il nome di un imprenditore friulano che si chiama Diego Volpe Pasini. È un amico di Vittorio Sgarbi e, insieme al critico d’arte, lavora a una listina da aggregare a quel centrodestra berlusconiano che da lì a poco deve sfidare la corazzata di Bersani.
Alla presentazione del progetto, mentre Sgarbi urla contro la bruttezza delle pale eoliche, Volpe Pasini si apparta con un po’ di cronisti e disegna lo scenario che segue: «Bersani vincerà le elezioni ma non avrà la maggioranza al Senato. Quindi andrà da Berlusconi a chiedergli il sostegno, sottoponendogli la scelta di un premier gradito a entrambi. E quando Bersani farà il nome di Matteo Renzi, Berlusconi dirà di sì».
GIAMPIERO SAMORìDiego Volpe Pasini
Tolto Bersani, che da Berlusconi non andrà mai, il resto è quasi opera da Nostradamus. Peccato che le virtù profetiche abbiano fruttato poco, a Volpe Pasini. Nel frattempo, infatti, s’era fatto bollare da Francesca Pascale come «ospite indesiderato» a Palazzo Grazioli. Infatti, per quel che risulta, non ci ha messo più piede.
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