DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
OBAMA NETANYAHUOBAMA NETANYAHU
Mirko Molteni per “Libero Quotidiano”
Restano difficili, come ormai da un anno, i rapporti fra Usa e Israele, dopo che ieri il premier ebraico Benjamin Netanyahu ha rifiutato di accettare un invito a Washington per incontrare il presidente Barack Obama nei prossimi giorni. E già qui si è scatenato un piccolo "giallo". Il portavoce del consiglio della Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, Ned Price, ha espresso la più totale «sorpresa nell'apprendere dai media che il primo ministro anziché accettare il nostro invito ha scelto di cancellare la visita».
Dall' ufficio di Netanyahu, nessun dispaccio. Gli americani lo hanno saputo dalle Tv e dai giornali ebraici. L' incontro era previsto per il 18 marzo, mancavano gli ultimi ragguagli e fonti della Casa Bianca sostengono che era stato lo stesso governo di Netanyahu a richiederlo. Peraltro, nel corso della visita era previsto che Netanyahu partecipasse anche alla conferenza annuale dell' Aipac (American Israel Public Affairs Committee), il comitato israelo-americano degli affari pubblici, in pratica uno dei nodi più importanti della collaborazione fra i due paesi.
NETANYAHU E PERES ACCOLGONO OBAMA
Washington si è indispettita al constatare che le prime motivazioni addotte in mattinata dai media israeliani per la cancellazione della visita del premier sarebbero dovute alla «incapacità americana di organizzare il summit», il che è stato considerato «falso» dal governo statunitense. Poche ore dopo da Israele si è corretto il tiro e i portavoce di Netanyahu hanno diramato: «Il primo ministro ha apprezzato la volontà di Obama di incontrarlo venerdì 18 marzo a Washington. Ma ha deciso di non recarsi a Washington per il momento, mentre la campagna per le primarie USA è nel pieno».
Insomma, il leader israeliano avrebbe preferito tenersi fuori per non influenzare la corsa alle presidenziali americane. Se le presidenziali c' entrano in qualche modo, pare più probabile che il vero motivo sia un altro, che cioè il governo israeliano preferisca a questo punto attendere il nuovo inquilino della Casa Bianca, piuttosto che ricucire con un Obama ormai uscente.
Il fossato si era scavato fin dal 2015, quando Netanyahu era andato a Washington a incontrare direttamente il Congresso USA, scavalcando Obama, per chiedere, invano, che respingesse il trattato con Teheran. Da quando è andato in porto l' accordo internazionale che limita la tecnologia nucleare dell' Iran, nemico numero uno per Israele, Netanyahu non ha avuto altro pensiero che chiedere ancor più sostegno militare agli americani, quasi presentando loro il "conto" dell' intesa con Teheran.
Non è un caso che ieri in serata sia arrivato a Gerusalemme il vicepresidente Joe Biden, impegnato in un giro diplomatico già programmato da tempo e iniziato sabato negli Emirati Arabi Uniti, da cui ieri è volato in Israele. Biden vedrà oggi Netanyahu e il presidente della repubblica Reuven Rivlin, per poi incontrare in Palestina Abu Mazen e proseguire in Giordania ospite di re Abdullah.
Il vice di Obama dovrà concedere ben 5 miliardi di dollari all'anno di aiuti militari, contro gli attuali 3,1 miliardi. I contributi Usa alla difesa israeliana sono regolati da un patto decennale siglato nel 2007 che scadrà col 2018. Fra i vari frutti di tale collaborazione si registra ad esempio il missile antimissile "Fionda di Davide", progettato insieme dall' azienda israeliana Rafael e dall' americana Raytheon e capace di intercettare e disintegrare in volo i razzi Qassam lanciati dalle milizie Hamas della striscia di Gaza.
Il nuovo accordo, coi 5 miliardi annui strappati da "Bibi" Netanyahu, è stato sollecitato da Israele dall' agosto 2015, dopo l' accordo dell' Iran con le potenze straniere. Ma non basta ancora a far calmare le acque. Il 29 gennaio è emerso perfino che i servizi segreti americani e inglesi hanno spesso preso il controllo dei droni spia dell' aviazione israeliana con intrusioni informatiche, per capire se "Bibi" tramava azione militari contro gli Hezbollah libanesi o contro l' Iran.
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