DAGOREPORT - TRUMP E PUTIN HANNO UN OBIETTIVO IN COMUNE: DESTABILIZZARE L’UNIONE EUROPEA - SE IL…
ELLY A PEZZI! DALLE SFERZATE DI PRODI E GENTILONI ALLE MANOVRE DEI CAPATAZ DEL PD, LA SCHLEIN E’ SOTTO ASSEDIO – LE VARIE ANIME DEL PARTITO STANNO FACENDO CAPIRE ALLA DUCETTA DEL NAZARENO CHE LA LINEA POLITICA VA DISCUSSA COLLEGIALMENTE E NON PUO' DECIDERE TUTTO CON IL SUO "CERCHIO TRAGICO" - PER USCIRE DALL’ANGOLO LA SEGRETERIA POTREBBE CONVOCARE UN CONGRESSO DOPO LE REGIONALI – LA NASCITA A FINE NOVEMBRE, A MONTEPULCIANO, DEL “CORRENTONE” DI FRANCESCHINI, SPERANZA E ORLANDO, HA IL SAPORE DI UN ULTIMATUM PER ELLY (CHE NON TOCCA PIU’ PALLA NEANCHE SUI TERRITORI) – GLI ODIATI "CACICCHI", COME GIANI O DE LUCA, CHE ELLY DOVEVA ELIMINARE SONO TORNATI DECISIVI – LE MOSSE DEI RIFORMISTI (DIETRO CUI SI MUOVE PAOLO GENTILONI) E DI GOFFREDO BETTINI CHE, INSIEME A MATTEO RENZI, PROVA A ORGANIZZARE UN PARTITO DI CENTRO - DAGOREPORT
DAGOREPORT
SCHLEIN ACCERCHIATA
Alessandro De Angelis per “La Stampa” - Estratti
Esiste sempre, nella storia del Pd, il momento in cui il segretario di turno prende atto di essere un re travicello. Regna ma non governa. E poi finisce, tra caminetti e riunioni di corrente, per essere governato. Normalmente arriva quando si inizia a pensare alle liste, anche con congruo anticipo.
Elly Schlein ci è già passata ai tempi delle Europee. Voleva candidare una valanga di civici, ma non ci è riuscita. La fecero tornare indietro anche sull'idea di mettere il nome del simbolo o di mettersi capolista ovunque. Fine della premessa.
Ecco, siamo al remake.
LA GALASSIA DELLE CORRENTI DEL PD
Ovunque: manovre delle correnti. Non è in discussione il ruolo, ma la gestione. E un dilemma la attanaglia: «Convoco o no un congresso dopo le regionali?». Un congresso per rompere l'assedio e mettere in campo una "generazione Elly", tipo Virginia Libero, la neosegretaria dei giovani, amministratori freschi, facce nuove. Attenzione a un punto: da statuto la segretaria arriverà al momento topico delle liste per le politiche nel 2027 col mandato scaduto. In prorogatio.
(...)
Dell'eventualità «per non farsi logorare» se ne parlò già dopo l'Umbria e passò in cavalleria. Se ne riparla adesso. Glielo consiglia il capogruppo al Senato Francesco Boccia, glielo sussurrano Marco Furfaro e Flavio Alivernini. L'aveva avvertita del logorio anche Nicola Zingaretti, colui che, dimettendosi, disse «mi vergogno del mio partito», dopo aver appreso che i suoi capicorrente erano diventati ministri di Draghi a sua insaputa. Mentre Igor Taruffi, da buon emiliano, è sempre favorevole agli accordi.
VINCENZO DE LUCA CON ELLY SCHLEIN
Il detonatore è stato l'annuncio di Montepulciano, il luogo che ospiterà a fine mese il battesimo del cosiddetto correntone di maggioranza che aggrega, senza scioglierle, le principali correnti a sostegno di Elly: la sinistra di Provenzano e Orlando, «compagno è il mondo» di Roberto Speranza e l'area di Dario Franceschini, che compagno non è ma in compenso è uno specialista del Cencelli e del CencElly, al governo e al partito. Li ha vinti tutti i congressi, tranne quando il candidato era lui ed è sopravvissuto a tutti i segretari.
Formalmente è l'appuntamento per dare il sempreverde "contributo" per l'alternativa. Ma dietro cotanto attivismo c'è un duplice messaggio: di influenza e di sfiducia. L'influenza di un corpaccione da far pesare al tavolo dei posti, e pertanto non ha alcuna voglia di fare un congresso. Rischiano di diminuire perché nel frattempo è entrato in maggioranza anche Stefano Bonaccini. Di sfiducia, perché il sottotesto è: ti sei circondata di gente che non sa cosa sia un partito complesso, affidati a noi professionisti. Una frattura dentro lo schleinismo-leninismo. Da quelle parti è un festival di battute sugli "Uffi".
Così chiamano il responsabile enti locali Davide Baruffi e il capo dell'organizzazione Igor Taruffi, gli uomini macchina del Nazareno. Memorabile la scena in cui furono cacciati malamente da una riunione in Basilicata, al grido di «tornatevene a Roma». Il secondo ha rischiato di prenderle anche in Sicilia, dove è andato per mettere ordine al congresso regionale. È finito in rissa e ricorsi, e ora si rischiano carte bollate.
Effettivamente, il territorio è un vero casino. In Basilicata c'è, come commissario, un senatore di Imola (Daniela Manca) e non si vede un domani, in Toscana ancora non si fa la giunta, nelle Marche parecchi hanno chiesto le dimissioni di Chantal Bompressi, detta "la Schlein delle Marche". Anche Matteo Ricci, dopo essere tornato a Bruxelles, vuole contare sulla scelta del prossimo segretario regionale. Puglia e Campania, lo sapete: la vittoria è assicurata, il rinnovamento meno. Insomma, una Jugoslavia di cacicchi. Quelli che – ipsa dixit – Elly doveva sterminare. Prima invece ha accettato il meccanismo, poi ne ha perso il controllo.
Lo sapete, per dirne una, che il figlio di De Luca lo ha scelto proprio lei? Proprio così: De Luca senior voleva, come segretario regionale, Fulvio Bonavitacola, il suo Sancho Panza. Lei ha sentenziato, in barba all'impatto mediatico: meglio il figlio, perché, se vuole tornare in Parlamento, non può essere troppo autonomo.
Pensava: cacicchi o no, l'importante è vincere le regionali, sognando a quel punto di avere la strada spianata verso palazzo Chigi. E invece pareggerà (grazie a Giani che non è riuscita a togliere, De Luca e Decaro con cui è scesa a patti). E sul pareggio annunciato si è già aperto il grande negoziato.
Si sono riorganizzati anche i "cosiddetti rifomisti" (senza Bonaccini) dietro i quali c'è Paolo Gentiloni. E poi ci sono i tramatori nell'ombra.
Come Goffredo Bettini, "la sinistra thailandese", così lo apostrofò Matteo Renzi. Ora con Renzi si sentono per organizzare la gamba di centro, ma soprattutto si sente con Conte, nei panni del Rasputin che lo rivorrebbe zar giallorosso. E infatti Renzi e Conte non baccagliano più.
piero de luca elly schlein roberto fico gaetano manfredi
Sulla riforma costituzionale dei poteri di Roma invece il suo plenipotenziario Marco Mancini ha un'interlocuzione diretta col governo.
Al Nazareno se ne sono accorti dopo. Capito? Elly non tocca più palla.
«NON SIAMO UN’ALTERNATIVA» IL MANTRA DEI VETERANI PD CHE «ACCERCHIANO» SCHLEIN
Tommaso Labate per il “Corriere della Sera” - Estratti
GIUSEPPE CONTE - NICOLA FRATOIANNI - ELLY SCHLEIN - ANGELO BONELLI
«È Meloni che si tiene la Schlein». Poco più di un mese fa — nel botta e risposta con un utente che su X gli rinfacciava con rammarico che «puoi pure ridere, intanto ci teniamo la Meloni» — il professor Arturo Parisi rispondeva sferzante proprio così: «È Meloni che si tiene la Schlein». Fuori dal perimetro della politica attiva da un pezzo ma presente sui social (e non solo) come osservatore pungente e puntuto, l’ex ministro della Difesa del governo Prodi II, che dell’ulivismo è sempre stato una sorta di custode dell’ortodossia, fa della critica alla segretaria del Pd un esercizio quasi quotidiano.
«Il Pd abbandoni la sua deriva estremista», ha detto Parisi in una delle sue ultime interviste, stroncando le ambizioni future di premiership di Schlein e suggerendo come opzione quella di Paolo Gentiloni, «che potrebbe essere un buon federatore». Tempo qualche settimana e, ieri l’altro, si è sentita anche la voce di Gentiloni stesso. «Se pensiamo che l’alternativa a Meloni ci sia già, ok, good luck », e cioè buona fortuna, ha scandito l’ex presidente del Consiglio al festival de Linkiesta .
«Non faccio parte di dinamiche interne, non sono in Parlamento però giro un sacco per l’Italia. E vi assicuro che la percezione pubblica è che c’è molto da fare per rendere una proposta alternativa sufficientemente forte».
Non ci sono solo i pungoli di Parisi e i suggerimenti di Gentiloni, per non parlare delle sferzate di Romano Prodi, che qualche settimana fa ha detto che «il centrosinistra ha voltato le spalle all’Italia» precisando che «l’alternativa a Meloni non c’è». La sensazione è che la vecchia guardia, che osserva il dibattito interno dalla tribuna, dica in pubblico quello che i veterani rimasti in campo con i galloni da generali dicono soltanto in privato.
DARIO FRANCESCHINI - ELLY SCHLEIN
Non si va troppo distante da uno schema che in casa Pd hanno storicamente sperimentato con costanza. Il cui punto di caduta è quella sorta di accerchiamento dei big del partito nei confronti di Schlein. Che arriva esattamente quando la legislatura ha iniziato il secondo tempo; il tempo in cui — per dirla con un alto dirigente del partito — «i giorni che mancano alle prossime elezioni sono di meno rispetto a quelli trascorsi dalle elezioni precedenti, insomma il momento in cui i giochi sul futuro iniziano a farsi sempre più concreti e i disegni sempre meno astratti».
«È movimentismo dozzinale», ha detto della piattaforma dell’opposizione di Schlein Luigi Zanda, un altro veterano del Partito democratico ancora molto ben sintonizzato sulle onde radio dei big che la vita del partito la praticano tutti i giorni.
schlein prodi franceschini
paolo gentiloni elly schlein
schlein gentiloni
romano prodi elly schlein
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