IL CETRIOLO CHE CI ASPETTA - SE IL 2012 CI PORTA IN DONO LA RECESSIONE FINIAMO PER DIRETTISSIMA SU UN BINARIO MORTO - CHIUSURE AZIENDALI, GIÙ I CONSUMI, DISOCCUPAZIONE, MINORI INTROITI FISCALI, MAGGIORI SPESE SOCIALI - SENZA CONSIDERARE CHE LO STATO CATATONICO DEL SISTEMA BANCARIO, IN CRISI DI LIQUIDITÀ, POTREBBE ANCHE PEGGIORARE LE COSE - E POI NEANCHE L’UOMO DEL MONTI POTRÀ FARE MIRACOLI…

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Danilo Taino per il "Corriere della Sera"

Se potete esprimere un desiderio per il 2012, chiedete che l'anno nuovo non porti una recessione. Almeno che non sia pesante. Nella condizione attuale della crisi del debito europeo e dei mercati terremotati avrebbe ottime probabilità di essere fatale. In genere, le recessioni provocano cambiamenti non indifferenti: più sono profonde, più i rivolgimenti possono essere sconvolgenti.

La previsione pubblicata ieri dall'Ocse - Europa in contrazione economica nei prossimi mesi e Italia con un calo del prodotto interno lordo (Pil) dello 0,5 per cento nel 2012 - è dunque un invito a ricalcolare tutti gli scenari futuri. In peggio, sia dal punto di vista finanziario che da quello politico.

Per capire gli effetti lunghi di una contrazione dell'economia, la storia è una maestra precisa. La Grande depressione degli Anni 30 sconvolse il mondo dal punto di vista delle economie, dell'occupazione, dei commerci, della gerarchia dei Paesi dominanti, delle politiche e naturalmente dal punto di vista militare. Finì con una guerra mondiale che ridisegnò il pianeta. Non tutte le recessioni terminano a quel modo. Effetti di grande portata li hanno però spesso.

Ci sono numerosi analisti, per esempio, i quali sostengono che la cosiddetta Primavera araba - con basi tutte sue e radicate nella storia - sia stata scatenata dalla grande recessione del 2008-2009, quando il mondo ha sofferto la peggiore contrazione economica in 70 anni, seguita al crollo del sistema finanziario.

Il punto d'inizio delle rivoluzioni, il 17 dicembre 2010, fu il suicidio di Mohamed Bouaziz, un disoccupato tunisino, venditore ambulante che si dette fuoco perché umiliato dalle autorità. E la contrazione economica degli anni precedenti fu sicuramente un catalizzatore delle rivolte nella regione. La stessa crisi dell'unione monetaria europea - la quale ha le radici nella sua architettura incapace di sostenerla - è scoppiata quando il crollo della crescita ha rivelato le debolezze dei Paesi con i maggiori sbilanci finanziari.

Direttamente, la grande recessione degli anni scorsi ha avuto effetti portentosi: nel giro di sette trimestri, l'Italia ha visto crollare del 6,7 per cento il Pil, la Germania del 6,6, gli Stati Uniti del 4,1; secondo un'analisi dell'agenzia d'informazioni Bloomberg, tra il 2008 e il 2009 è andato distrutto un valore societario corrispondente a 14.500 miliardi di dollari. Indirettamente, l'intero pianeta ha capito di avere cambiato stagione, che i rapporti di forza tra le diverse parti del mondo erano mutati, che la sicurezza di una vita sempre più benevola era stata scossa, che molto avrebbe dovuto essere ridimensionato.

Il fatto è che il Pil conta. E influenzerà anche in modo decisivo i tentativi di salvataggio dell'euro che i governi stanno preparando. L'esempio dei numeri italiani è illuminante. Finora si è calcolato che per mantenere il rapporto tra debito pubblico e Pil costante al 120 per cento, con tassi d'interesse attorno al 6,7 per cento e una crescita nominale (al lordo dell'inflazione) del 3,6 per cento, sarebbe stato necessario registrare un surplus primario di bilancio (cioè prima del pagamento degli interessi sul debito) pari al 3,7 per cento del Pil.

Se però si prende il calcolatore interattivo del debito italiano elaborato da Reuters-Breakingviews e si immette una crescita nominale attorno al due per cento, più in linea con le previsioni di recessione dell'Ocse, risulta che il surplus primario necessario a mantenere il debito costante sarà del 5,6 per cento. L'equivalente di due punti percentuali di prodotto lordo in più che il governo Monti dovrà risparmiare, una trentina di miliardi solo per non peggiorare il debito. Dal momento che l'Unione Europea ci chiede di migliorare e di scendere dal 120 per cento, l'onere dell'eventuale manovra aggiuntiva provocata dalla recessione dovrebbe essere maggiore. Difficilmente sostenibile.

Oltre a ciò, bisogna tenere conto che la recessione si porta dietro chiusure aziendali, disoccupazione, minori introiti fiscali, maggiori spese sociali. Insomma, prima di andare meglio le cose andranno peggio. La banca americana Goldman Sachs sostiene che l'economia italiana sia già ora in recessione: se ciò è vero, significa che la previsione Ocse dello 0,5 per ceno di contrazione per l'intero 2012 sconta una caduta forte tra ora e i primi mesi dell'anno prossimo e poi solo una leggera ripresa. Un andamento a L, con una caduta iniziale e poca crescita dopo. Lo stato di quasi immobilità del sistema bancario, che ormai non presta quasi più nulla all'economia a causa della crisi di liquidità e di fiducia che domina i mercati, potrebbe anche peggiorare le cose.

Non sorprende, dunque, che ieri l'Ocse abbia anche detto (non riferendosi solo all'Italia) che «data la grande incertezza che oggi hanno di fronte, i soggetti politici devono essere preparati ad affrontare il peggio». Una crisi del credito fortissima alimenta la recessione. La quale, a sua volta, crea i presupposti per fallimenti e ulteriori strette creditizie. È quel mix che, se finisce fuori controllo, può trasformare, nel sacco della Befana, la recessione in depressione.

 

Mohammed BouaziziANGELA MERKEL MONTITremonti e GurriaGOLDMAN SACHS