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Stefano Giantin per la Stampa
Ampi settori della società rimangono rigidamente conservatori. Uno studio, solo due anni fa, ha rivelato che quasi un cittadino su due «curerebbe» il proprio figlio, se scoprisse che è omosessuale.
Ma le cose sembrano cambiare, in Serbia. Serbia dove ieri, per il quarto anno consecutivo, diverse centinaia di gay e lesbiche hanno potuto sfilare liberamente nel centro di Belgrado, in una marcia colorata, senza incidenti e violenze, tra bandiere arcobaleno e un cartello in bella evidenza che recitava «Ana je tu», Ana è qui. Ana, nome di battesimo di Ana Brnabic, giovane premier, dichiaratamente lesbica, da ieri anche il primo capo di governo in Serbia ad aver partecipato a una marcia dell' orgoglio omosessuale. Brnabic, gettonatissima per un selfie assieme ai manifestanti, non ha tradito le attese e non si è sottratta. Chi è al potere a Belgrado crede che «la diversità renda la nostra società più forte», ha dichiarato.
«Il governo è qui per tutti i cittadini e assicurerà il rispetto dei diritti di tutti», non solo della maggioranza, ma anche «delle minoranze», ha ribadito nel cuore di una metropoli molto meno blindata che in passato, segno che le tensioni in occasione del Pride stanno scemando. E che sono ormai remoti gli scontri del 2010 tra hooligan e polizia, il sangue, i feriti.
Ieri, a protestare contro gay e lesbiche, c' era solo un pugno di ultranazionalisti e di fondamentalisti religiosi.
Qualcuno ha urlato «sodomia, reato penale», altri hanno innalzato qualche croce e icone al cielo, controllati a vista dagli agenti in tenuta antisommossa.
Non li ha visti sicuramente Brnabic, accolta con calore dalla comunità Lgbt locale. È stato «un bene, la prima volta che un premier ha partecipato al Pride», conferma Goran Miletic, anima della manifestazione e storico attivista per i diritti umani in Serbia, che ieri al Pride ha sottolineato che problemi ci sono ancora, ma che «vogliamo lavorare insieme per risolverli».
Problemi come i pregiudizi e le discriminazioni verso gay e lesbiche, una questione ancora attuale. Gay e lesbiche che - assieme ai rom - restano fra le minoranze più soggette a «minacce e attacchi» in Serbia, la gran parte non denunciati alle autorità, ha segnalato Human Right Watch nel suo World Report 2017. La Serbia presenta ancora risultati negativi «in relazione ai diritti umani, non possiamo certamente essere soddisfatti, ma ci sono miglioramenti visibili negli ultimi due anni», puntualizza però Miletic. Dipinge un quadro diverso il politologo Dragan Popovic.
«Posso dire con certezza che questo non è un governo pro-diritti umani, un evento non è sufficiente per dare un' immagine delle politiche di un esecutivo», spiega, sottolineando poi i «cinque anni» al potere su differenti poltrone dell' attuale presidente Vucic, ex ultranazionalista trasformatosi in europeista e riformatore, con vari governi «molto negativi verso la libertà dei media e altri diritti umani». Vucic che, ricorda Popovic, ha anche lanciato «un messaggio forte» prima della marcia, dicendo di non essere «interessato» al Pride. Quello che però è uscito dai confini nazionali è il «possiamo organizzare il Gay Pride» e soprattutto «che la violenza non è accettata», chiosa l' analista. E non è poco, per un Paese che vuole farsi trovare pronto per l' integrazione nella Ue.
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