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IL TEATRINO DELLA POLITICA - RENZI FA IL GANASSA DAVANTI A MATTARELLA: #SERGIOSTAISERENO: HO I NUMERI AL SENATO - IL QUIRINALE RISPONDE: #MATTEOSTAISERENO, NON CI SARANNO ELEZIONI ANTICIPATE - CRISI? TUTTI AL MARE! I DISSIDENTI DI NCD PER ORA SOTTO L’OMBRELLONE

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Carmelo Lopapa per “la Repubblica

 

La maggioranza e il governo non corrono rischi e non ne correranno la prossima settimana quando sarà votato il decreto enti locali che richiede la maggioranza di 161 senatori. Matteo Renzi non teme imboscate e lo dice chiaro al presidente della Repubblica Sergio Mattarella che chiede lumi alla luce degli ultimi eventi.

 

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«Non ho alcun dubbio sulla tenuta» chiarisce il presidente del Consiglio. Detto questo, aggiunge, se da qui al referendum ci fosse un incidente, «è chiaro che il segretario del Pd continuo a essere io». Come dire (ma non lo ha detto), la linea del partito la darà lui e non altri: anche quando e se si dovesse discutere di ipotetici governi tecnici piuttosto che di ritorno alle urne.

 

Renzi viene ricevuto nel pomeriggio al Quirinale per fare il punto alla vigilia del vertice Nato di Varsavia dove il premier sarà impegnato oggi e domani, ma sul tavolo finiscono presto anche i noti interni più spinosi.

 

Tenuta della maggioranza ma anche data del referendum. È confermata una domenica di ottobre, con l’unica eccezione del 30, domenica che farebbe da facile ponte col primo novembre. Il rischio di assenteismo sarebbe troppo alto. Solo in quel caso si potrebbe slittare al 6 novembre, ma non oltre.

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Ma a margine del colloquio sul summit Nato un cenno è stato fatto anche all’ipotesi spacchettamento dello stesso referendum costituzionale. Renzi è contrario, preferisce il quesito unico, lo ha ripetuto. Dopo di che, se è una via praticabile dal punto di vista giuridico e qualcuno insiste per farlo non alza le barricate, «discutiamone, non sono ideologicamente contrario» ha spiegato. Uno spiraglio insomma resta aperto.

 

Fin qui il colloquio. Ma giù dal Colle, al Senato soprattutto le fibrillazioni di questi giorni, le minacce dei centristi delusi, dei nostalgici berlusconiani e dei verdiniani insoddisfatti, perfino l’inchiesta Labirinto che ha scosso Angelino Alfano e il suo Ncd hanno lasciato il segno.

 

 Non avranno tuttavia contraccolpi parlamentari, è la tesi dello stesso Alfano, dopo un chiarimento schietto coi suoi, Renato Schifani in testa, in vista della riunione di gruppo della prossima settimana. Otto gli “indiziati”, tentati dal sostegno esterno se non da un abbandono per tornare al centrodestra.

 

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«È tutto rientrato, ho avuto precise garanzie di lealtà - ha spiegato a fine giornata il ministro dell’Interno al ritorno da Fermo - non ci saranno sgambetti dei miei ed è un rientro strutturale, non temporaneo ». Anche Schifani ha smentito imminenti “imboscate”: «Non ce ne saranno sul dl enti locali».

 

paolo naccaratopaolo naccarato

Chi aggiorna di ora in ora il pallottoliere aggiunge ai 165 voti certi di maggioranza almeno 11 “leali” senatori di Verdini (Ala) su 18 e un drappello di 4 dei 18 parlamentari del variegato gruppo Gal presieduto da Mario Ferrara (ovvero Paolo Naccarato, Riccardo Villari, Michele Davico e Angela D’Onghia). A conti fatti 180 voti a favore della maggioranza a fronte dei 161 necessari (è una legge di bilancio). Un margine di sicurezza, per ora.

 

Ma le frizioni e le voglie di fuga, soprattutto nei gruppi centristi, non mancano, al più sono sopite, a Palazzo Madama. Intanto, se il voto sul provvedimento sulla tortura (ieri il verdiniano Falanga ne ha chiesto il rinvio), occuperà l’aula per un paio di giorni, il dl enti locali previsto per mercoledì potrebbe anche slittare alla settimana successiva. Quando le acque potrebbero essere meno agitate per la maggioranza.

 

Anche perché le incognite restano. Tra i 18 verdiniani di Ala si contano sette in ambasce. Uomini di Cosentino e non solo. Falanga, Langella, D’Anna, Auricchio e poi Ruvolo Schiavone, Compagnone. «Non vedo quale sia il problema, non siamo organici alla maggioranza, non capisco le pressioni del Pd, noi votiamo solo quel che ci convince», taglia corto Ciro Falanga». Per non dire del catino in fermento dei 28 del gruppo misto. Nove in teoria con Renzi (tra loro Bondi e Repetti), ma 19 sul piede di guerra, nella calda estate pre referendum.

 

 

Adalberto Signore per “Il Giornale

 

 

«Bisogna fare il possibile affinché la legislatura arrivi al 2018». Non deve averglielo detto in modo così esplicito Sergio Mattarella, ma non c'è dubbio alcuno che sia questa la convinzione profonda del presidente della Repubblica.

 

E il tema, seppure nei toni e nei modi consoni a un incontro al Quirinale, deve essersi affacciato nel faccia a faccia di ieri mattina tra il capo dello Stato e Matteo Renzi. Ufficialmente, una riunione sul vertice Nato in programma oggi a Varsavia, ma necessariamente un momento di chiarimento dopo i rumors di questi giorni su come il Colle abbia intenzione di gestire un'eventuale crisi di governo.

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Sia - ma è improbabile - che possa arrivare a seguito dell'inchiesta che ha investito Angelino Alfano, sia - ipotesi quasi scontata - che segua a una vittoria del «No» nel referendum di ottobre.

 

D'altra parte, al di là del felpato linguaggio istituzionale, sul punto la distanza tra i due è siderale. Mattarella, infatti, in diverse occasioni private ha fatto presente ai suoi interlocutori quanto la stabilità serva a dare una dimostrazione della «serietà del sistema Italia», soprattutto rispetto all'Europa.

 

Perché è chiaro che dopo il filotto Monti-Letta-Renzi, presentarsi a Bruxelles con un quarto premier nel giro di quattro anni e mezzo sarebbe la conferma della nostra inaffidabilità. Un rischio non solo in vista delle trattative con la Commissione Ue sui conti pubblici, ma anche rispetto al quadro che si andrà a delineare nei prossimi mesi quando sui tavoli europei dovrebbe aprirsi formalmente il dossier Brexit.

 

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Il premier, invece, è su tutt'altra linea. E nel caso di bocciatura del referendum sarebbe pronto a lasciare Palazzo Chigi, puntando direttamente alle urne e non certo ad un governo di scopo che si occupi di cambiare l'Italicum. Come auspicherebbe invece Mattarella, convinto che il doppio sistema di voto che c'è oggi non sia degno di un Paese civile. Considerando che dimessosi da premier Renzi resterebbe comunque segretario del Pd - partecipando quindi ad eventuali consultazioni sul Colle a nome di quello che è il partito di maggioranza relativa - è evidente che il rischio caos è concreto.

 

Così - anche se Mattarella ci tiene molto a recuperare la figura del presidente «notaio» (soprattutto dopo una fase di interventismo culminata con gli eccessi di Giorgio Napolitano) - alla fine il Colle ha sentito l'esigenza di lanciare quantomeno un segnale. Nessuna presa di posizione ufficiale del capo dello Stato certo, ma il silenzio è il massimo che Mattarella può concedere a Renzi in questa fase.

 

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Il non detto è evidente e prevedere che il presidente della Repubblica - come vogliono le sue prerogative e come ha confidato in privato diverse volte - farà il possibile per portare la legislatura alla scadenza naturale del 2018. Ecco perché avrebbe ribadito a Renzi che sarebbe opportuno spersonalizzare l'appuntamento referendario e puntare al merito della riforma.

 

Mattarella, dice infatti chi ha avuto occasione di sentirlo, è più che convinto che il «Sì» possa ancora vincere. E così fosse sarebbe lo stesso Renzi a garantire quella «serietà del sistema Italia» tanto cara al Quirinale.