SILVIO A PEZZI - SALTA L’ULTIMA MEDIAZIONE, FARSA ITALIA VERSO LA SCISSIONE

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Ugo Magri per "La Stampa"

L'uomo che si vantava di aver messo d'accordo Putin e Bush, la Russia e gli Stati Uniti d'America, oggi non riesce a tenere insieme i suoi «falchi» e le sue «colombe». Anzi, le super-colombe e i super-falchi sembrano in combutta («tu tiri di qua, io strattono di là») per causare una scissione a destra di cui farebbero le spese tanto Berlusconi quanto Alfano.

Non a caso per tutto ieri un furibondo fuoco di artiglieria ha preceduto l'invito a cena di Angelino a Palazzo Grazioli. Piatto forte del menù: come evitare, se possibile, di dirsi addio già tra due giorni, quando al Palazzo dei Congressi della Capitale si adunerà il Consiglio nazionale del Pdl.

Questa incapacità berlusconiana di confermarsi leader che unisce, e anche di perdonare certi sgarbi (un tempo ne era capace, adesso non più) lascia sgomento perfino chi gli sta intorno. Nel vortice dei pettegolezzi, corre voce che la fidanzata Francesca stia vivendo la resa dei conti politica come un dramma personale.

«Non lascerò mai Silvio», ripete alle amiche (e ce ne sono pure nel giro di Alfano), ma certo resterebbe delusa se il suo idolo tornasse sulla terra come personaggio risentito e rancoroso. Giusto ieri la Pascale è stata vista in un ottimo ristorante «kosher» del Ghetto, quasi una riparazione per la bestialità berlusconiana dei suoi figli «come gli ebrei sotto Hitler».

La mediazione contro cui sono scatenati gli «ultrà» consisterebbe, in sostanza, in un rinvio senza chiarire nulla. Lasciando a casa in extremis gli oltre 800 consiglieri nazionali, già con la borsa pronta? No, quello proprio non è possibile, hanno alzato una barricata i capi «lealisti» che Berlusconi si è consultato a pranzo, più i cosiddetti «pontieri» (Matteoli e Gasparri) che poi tanto pontieri non sono se è vero che intorno al desco il più moderato, o se si vuole il meno ostile a negoziare coi ribelli, era paradossalmente proprio Berlusconi.

Il quale ha lasciato perplessi e dubbiosi i suoi commensali dando l'impressione di voler guadagnare tempo perché crede ancora che un dio benevolo scenderà dall'Olimpo per salvarlo dalla decadenza, fissata per il 27 del mese, nonostante il responsabile Giustizia del Pd, Leva, abbia già chiarito: quella data non si tocca. Invece il Cavaliere testardo continua a sperare che il giorno del giudizio venga spostato più in là, fino a febbraio o a marzo nientedimeno. Con quale intendimento, appunto, risulta un mistero.

Di sicuro, l'attesa non gli frutterebbe una grazia, ipotesi «tramontata da tempo» secondo l'avvocato Coppi. Però, chissà, tra qualche settimana la Corte di Lussemburgo potrebbe emanare un verdetto a sorpresa sulla legge Severino, o magari la Cassazione potrebbe accettare il ricorso che Ghedini e lo stesso Coppi stanno ultimando, col risultato di rinviare la faccenda davanti alla Consulta...

Alfano sarebbe pure disposto ad assecondare il Cav, ma i 30 senatori che per seguirlo si sono bruciati i ponti alle spalle, gli pongono come condizione per una tregua (Naccarato la enuncia senza mezzi termini) che Berlusconi accetti di tenere in piedi il governo, e spalanchi le porte alla democrazia interna.

In caso contrario, sostiene Quagliariello, sarebbe meglio non presentarsi al Consiglio nazionale e consumare nei fatti la scissione. «Sarebbe una cosa non bella», finge scandalo Alfano, «e non è interesse di alcuno andare là a rovinare la festa», dunque Berlusconi si regoli. Non male la contro-battuta di Fitto: «Il vero rischio non è che si voglia "guastare la festa" a Berlusconi, ma che si voglia "fargli la festa"». Già, perché il timore dei falchi è speculare alla paura delle colombe: quella di trovarsi a sostenere l'odiatissimo governo Letta chissà per quanti secoli ancora.

 

 

BERLUSCONI E ALFANO AL QUIRINALE FOTO LAPRESSEALFANO E BERLUSCONISILVIO BERLUSCONI ENRICO LETTA gasparri foto mezzelani gmt FRANCO COPPI E NICCOLO GHEDINI