PAOLO GUZZANTI SI CONSOLA CON L’AJETTO: PER RENZI SONO GUAI NERI, LETTA NON SI SCHIODA PIU’

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Paolo Guzzanti per "Il Giornale"

E poi tutti a chiedersi: per¬ché l'ha fatto, che cosa gli è passato per la testa, quando è che ha cambiato idea, che cosa è successo nella sua mente. Dal punto di vista politi¬co possiamo dare diverse e vali¬de spiegazioni. Ma sono convin¬to che ci sia di mezzo anche la sua personalità e la sua emotività. Quando Berlusconi ha preso la parola appari¬va provato. Una senatrice in¬contrata nel Salone Garibaldi del Senato me lo descri¬veva come «devastato».

Non doveva aver dormito molto: alle due del matti¬no stava anco¬ra litigando per telefono con Formigo¬ni e non era l'ultima chia¬mata. Non po¬teva ce¬rto ave¬re l'aspetto ro¬seo e disteso del principe di Condé pri¬ma della bat¬taglia di Ro¬croi, come ce lo racconta Manzoni. Ber¬lusconi si era da poche ore reso conto che stava per¬dendo trup¬pe. E un con¬to è perdere alleati come Casini e Fini, e un altro per¬dere la guar¬dia del Presi¬dente. Deve essersi immerso in un calcolo razionale dopo essersi pratica¬to un'iniezione di coraggio in dose da cavallo.

Di qui la decisione: arretrare fino a raggiungere lui il pezzo del suo esercito che annuncia¬va di sbandarsi, per potersi schierare inaspettatamente in¬sieme a loro. Un colpo di coda che ha spiazzato tutti. Enrico Letta, udendo le ultime parole di Berlusconi che annunciava la fiducia, ha bisbigliato «È un grande». Non era contento, perché sperava di essersi libe¬rato di lui e voleva presentarsi come un comandante con truppe nuove.
Con il suo colpo di coda, Ber¬lusconi si è presentato fra gli ar¬ruolati, ma con il vecchio gra-do di maresciallo sulla manica con cui aveva lanciato l'allean¬za e la coalizione.

Sapeva che questa sortita avrebbe fatto im¬pazzire di rabbia il Pd e in parti¬colare l'ala guidata dal capo¬gruppo Luigi Zanda, animata da un antiberlusconismo da guerra fredda.
Quando si vanno a tirare le somme dell'operazione che ha mantenuto l'Italia e l'Euro¬pa sulle corde, Berlusconi ha anche fatto fuori Matteo Ren¬zi: la fiducia blinda il governo, rilancia Letta e lo lancia alme¬no fino al 2015.

Il che significa che Palazzo Chigi ha tirato su il ponte levatoio e non accette¬rà sostituzioni perché è quasi sicuro che non ci saranno ele¬zioni. Dunque Renzi non è più un candidato al governo. Può sostituire Epifani alla se¬greteria, cosa di cui a lui non importa nulla. O fa il primo mi¬nistro, o tanto vale che resti a Palazzo Vecchio.

Berlusconi aveva pensato a questo effetto collaterale? In lui giocano fattori emotivi combinati con in suoi calcoli da scacchista agile e impreve¬dibile anche quando è sotto il massimo stress . Il primo è il pia¬cere di essere leader non sol¬tanto di un elettorato vasto co¬me un regno, ma anche di una macchina sia da guerra che da governo.

Ha pensato e pensa di poter seguitare a muovere i meccanismi di quella mac¬china anche quando sarà dimezzato dalla condi¬zione di con¬dannato a do¬micilio. Sa an¬che che il suo regno eletto¬rale in queste settimane ha sofferto una crisi d'incom¬prensione a causa delle scelte convul¬se e lui vive il rapporto con il suo elettora¬to in maniera anche fisica, viscerale, spesso totalizzante.

Quando si è reso conto del fatto che poteva perde¬re il controllo di una creatu¬ra in cui si è sempre spec¬chiato come un alter ego , ha capito che doveva per forza andare a recuperare i suoi uomini cambiando bru¬scamente marcia e tirando il freno a mano, con un testa-co¬da tipico del suo carattere di stuntman.

La scelta deve esser¬gli costata parecchio, ma era si¬curo di poter ricucire lo strap¬po: del resto, Alfano si è affret¬tato a definire «inevitabile ma non irreparabile» la rottura av¬venuta. Così ha gettato la sua inattesa testa di ponte e si è pre¬sentato dall'altra parte, a sor¬presa. A Enrico Letta non è ri¬masto che esprimere ammira¬zione insieme a un certo fasti¬dio. Berlusconi aveva spari¬gliato di nuovo ed era tornato protagonista rubandogli la scena.

 

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