SNOWDEN, ZITTO A MOSCA – AVVISO: CHI TRADISCE L’OCCIDENTE E FINISCE IN RUSSIA FA UNA VITA DI MERDA

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Anna Zafesova per "la Stampa"

‘'Ubriacarsi è il modo più facile per suicidarsi», confessava Kim Philby alla sua moglie russa Rufina. Nei suoi 25 anni di esilio a Mosca il più famoso doppio agente della Guerra Fredda ci aveva provato in tutti i modi, facili e difficili. La defezione nel 1963 gli aveva aperto gli occhi sul comunismo per il quale aveva combattuto: «Un popolo che legge la Pravda ogni giorno è invincibile», ironizzava nel suo appartamentino sugli Stagni del Patriarca, che aveva stipato di mobili Chippendale, pantaloni di flanella e marmellata di arance di Oxford, che il Kgb gli procurava per saziare la sua inguaribile nostalgia per Albione.

Ma questi piccoli privilegi non potevano consolarlo. Il tentativo di vivere da gentleman in mezzo a «persone povere vestite male», senza poter muovere un passo (sopra il suo appartamento c'era una soffitta dalla quale veniva spiato 24 ore su 24, come nel film «Le vite degli altri»), lo squallore del socialismo reale erano insopportabili, così come il fermo rifiuto del Cremlino di dargli un lavoro: per i russi rimaneva un traditore, un occidentale di cui non fidarsi.

Il collega dei «Cinque di Cambridge» Guy Burgess, fuggito in Urss prima, aveva già provveduto a suicidarsi con l'alcol, anche perché la sua omosessualità non era compatibile con la morale comunista. L'altra spia del gruppo, Donald McLean, si era rassegnato a una vita di lusso per i parametri locali, di miseria per quelli londinesi. Con la moglie Melinda si divertivano a farsi fare dai sarti abiti di eleganza europea e sognavano Parigi o in Italia, «ma ci arriveremo solo quando ci sarà la rivoluzione».

Un biglietto di sola andata, per assaporare la delusione: per gli esuli della Guerra Fredda la fuga a Mosca è stata quasi sempre un dramma. Bruno Pontecorvo, recuperato dai sovietici nel 1950, visse nella cittadella dei fisici nucleari di Dubna, vicino a Mosca, e venne riempito di premi per le sue ricerche. Il fisico però confessava agli amici mentre si ingegnava a riprodurre il sugo per la pasta con ingredienti locali: «Pensavo che il comunismo fosse una scienza, invece è una religione». Il Cremlino non voleva farlo uscire dall'Urss per paura che scappasse in direzione opposta: tornò in Italia solo nel 1979, previo un briefing dei servizi che gli intimavano di «evitare contatti con stranieri».

Perfino un filosovietico convinto come Lee Harvey Oswald si è ricreduto dopo appena due anni. Nel 1959 si era tagliato le vene per convincere i sovietici a dargli asilo. Mandato a fare l'operaio in una fabbrica di Minsk, si lamentava: «Il lavoro è noioso, non so come spendere i soldi, non ci sono night e bowling ma solo feste da ballo sindacali».

È tornato in patria nel 1961, portandosi dietro la moglie Marina, conosciuta probabilmente a un ballo del sindacato, che adesso vuole mettere all'asta negli Usa la fede nuziale di grossolano oro rosso comprata a Minsk e lasciata dal marito sul comodino la mattina che uscì per uccidere Kennedy.

Per fortuna di chi opta per la defezione oggi, a Mosca si possono trovare pasta, sughi e anche il chianti che tanto mancava a Pontecorvo, e Snowden potrà scegliere tra decine di night. In compenso chi arrivava a Mosca come martire del comunismo, come Luis Corvalan, il leader del Pc cileno arrestato da Pinochet e scambiato nel 1976 con il dissidente Vladimir Bukovsky, acquisiva un potere da gerarca. Ma doveva essere pronto a pagarlo: dopo sei anni il Politburò rispedì Corvalan a rischiare la vita in clandestinità in Cile, dopo averlo messo per tre volte sotto il bisturi dei chirurghi del Cremlino per fargli cambiare completamente faccia.

 

 

Lee Harvey Oswald mugshot LEE HARVEY OSWALDGUY BURGESS SNOWDEN article B B F DC x KIM PHILBY EDWARD SNOWDEN BRUNO PONTECORVO