DAGOREPORT - TONY EFFE VIA DAL CONCERTO DI CAPODANNO A ROMA PER I TESTI “VIOLENTI E MISOGINI”? MA…
Federico Rampini per “la Repubblica”
La luna di miele tra Barack Obama e Narendra Modi sancita dal recente viaggio in India turba i liberal americani. Che ci fa il presidente democratico a braccetto con un leader conservatore e nazionalista, che in passato fu addirittura “persona non grata” in questo Paese, bandito dal territorio Usa per il suo ruolo nelle violenze induiste contro la minoranza musulmana?
Obama aveva appena lasciato New Delhi poche settimane fa, e già Modi si distingueva per un gesto illiberale, il visto negato a una militante di Greenpeace India che doveva andare a Londra.
Ma la logica geostrategica di Obama è dettata dalla realpolitik. Con Cina e Russia ostili all’Occidente, e guidate da logiche espansioniste, resta una sola superpotenza per controbilanciarle in Asia. Scommettere sull’India, come sta facendo dal 2010 Obama, si sta rivelando una scelta vincente. E non solo per lui: l’intera economia globale scopre nell’elefante indiano una nuova locomotiva.
Un’inchiesta del New York Times prevede che il 2016 sarà l’anno di un sorpasso storico: la velocità di crescita dell’economia indiana sarà superiore a quella cinese. L’elefante più veloce del dragone. Attenzione, il sorpasso riguarda le percentuali di aumento del Pil, non la dimensione assoluta.
Per la stazza della sua economia la Cina resta al primo o secondo posto mondiale, alla pari con gli Stati Uniti; l’India è indietro, anche se ha già scavalcato la Germania e sta per superare il Giappone conquistandosi il terzo posto. Comunque se la previsione sugli aumenti annui del Pil si realizza, sarà una svolta, il passaggio del testimone fra le due nazioni più popolose del pianeta.
È dai tempi in cui Deng Xiaoping traghettò la Repubblica Popolare verso l’economia di mercato, o il “capital-comunismo”, che la Cina sembrava irraggiungibile nei suoi ritmi di sviluppo. Anche nelle fasi di maggior dinamismo indiano (il periodo tra il 2000 e il 2007), New Delhi arrancava dietro il dragone, afflitta da strozzature croniche come l’arretratezza delle infrastrutture, i blackout elettrici, la conflittualità sindacale, la burocrazia più corrotta e incompetente.
Che cosa è cambiato? Innanzitutto c’è un sorpasso demografico, dalle conseguenze cruciali sul futuro. Nella popolazione (1,3 miliardi), l’India ha già raggiunto la Cina e presto l’avrà superata. Come hanno dimostrato gli studi di Thomas Piketty sul capitalismo nel XXI secolo e quelli di Larry Summers sulle “stagnazioni secolari”, una popolazione che cresce è storicamente la condizione necessaria per il dinamismo economico.
Ancora più importante è la composizione della demografia: quanti giovani, quanti vecchi. L’India sorpassa la Cina in questa sfida della giovinezza: la popolazione indiana compresa nelle fasce di età fra i 15 e i 24 anni si avvicina al quarto di miliardo di persone, e continua a crescere.
Al contrario, in Cina per effetto della politica del figlio unico la forza lavoro sta invecchiando rapidamente, le generazioni tra i 15 e 24 anni sono in netto declino. Una forza lavoro giovane da sola non basta, se non riceve la formazione adeguata, e se l’economia non crea posti di lavoro per tutti. Ma la giovinezza di un Paese è uno degli ingredienti di tutti i boom economici della storia.
L’India ha altri punti di forza. A volte, sono il rovescio della medaglia delle sue debolezze. Già nel corso della grande crisi del 2008-2009 l’economia di New Delhi diede prova di una notevole “resilienza”: dote che gli economisti definiscono come “resistenza e capacità di reagire ad uno shock esterno”. Non ci fu neppure una breve recessione in India; soffrì di più la Cina che ebbe un crollo dell’export. Paradosso: proprio perché l’India non ha sviluppato una forte tradizione di industria manifatturiera esportatrice, e ha un’economia più “introversa”, rivolta a soddisfare la domanda interna, questo la rende meno vulnerabile ai rovesci della congiuntura internazionale.
obama rumina al republic day indiano
Uno di questi rovesci, però, le sta facendo un gran bene: il contro-shock petrolifero ha ridotto di 50 miliardi di dollari annui la bolletta energetica del Paese, secondo le stime della banca centrale di New Delhi. Proprio ciò che impoverisce Vladimir Putin, rafforza Narendra Modi. Un altro fattore esterno che aiuta l’elefante indiano, è il persistente rallentamento della crescita cinese, unito all’escalation di misure protezioniste che sotto il presidente Xi Jinping stanno abbattendosi sulle multinazionali occidentali con sede a Pechino, Shanghai, Guangzhou.
È ancora il New York Times a segnalare un caso emblematico: la General Motors ha spostato il suo quartier generale asiatico da Shanghai a Singapore, “zona neutra” a metà strada tra Cina e India, per dedicare più attenzione e più investimenti al mercato indiano. Dalla città di Pune (nello Stato del Maharashtra, 90 km da Mumbai) la General Motors ha iniziato a esportare un modello Chevrolet fino al Cile.
obama mastica la gomma davanti al primo ministro indiano
Le sfide che Modi deve affrontare restano tremende. Il nuovo premier conservatore propugna riforme di strutture che rendano l’India più efficiente, meno corrotta, liberando energie innovative dalla morsa di una burocrazia parassitaria. Ma è solo all’inizio del suo compito. E già l’elettorato che lo ha portato in trionfo dà segni di insofferenza: nelle recenti elezioni locali a Delhi ha stravinto un nuovo partito che fa della battaglia alla corruzione la sua bandiera. Per ora l’India continua a essere in fondo alla classifica dei Paesi “accoglienti” per gli investimenti esteri: 142esima su 189, secondo la Banca Mondiale.
Ciò non toglie che la “strategia indiana” di Obama sia razionale. Ha strappato l’India ad un’antica alleanza con Mosca, che durava dai tempi di Indira Gandhi. Con Modi l’India sta uscendo dalle ultime vestigia della neutralità, una tradizione che risaliva al movimento dei “non allineati”.
L’intesa Washington-Delhi è un pilastro della nuova strategia di contenimento dell’espansionismo cinese in Asia. E Obama ha bisogno di conquistare Modi alla battaglia contro il cambiamento climatico (la cappa di smog su Delhi ormai è altrettanto mefitica di quella che opprime Pechino).
La scommessa poggia su una “quinta colonna” all’interno degli Stati Uniti: la diaspora indiana, un’élite sempre più integrata nella società americana, in funzioni di leadership. Dal chief executive della Microsoft al procuratore generale di New York, gli indiani occupano posti-chiave nella classe dirigente americana. E quando Modi è stato qui a New York, hanno riempito il Madison Square Garden come per una pop star.
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