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Virginia Piccolillo per “Il Corriere della Sera”
«Dimettermi? Non ho mai parlato di dimissioni. Chi ne ha parlato?». Alle 19.30, prima dell’incontro con il ministro della Giustizia Andrea Orlando, il sottosegretario Cosimo Ferri smentiva con forza le indiscrezioni che già lo davano in uscita dal dicastero di via Arenula. E al termine dell’incontro, intorno alle 22, confermava: nessun addio.
«Il ministro non mi ha chiesto di lasciare. Più che un colloquio è stato un monologo. Del resto avevo chiesto io l’incontro. Lui ha ascoltato attentamente le mie spiegazioni. Non mi ha parlato del presidente del Consiglio. Ha voluto capire. Spero di aver fornito tutti gli elementi per ridimensionare l’accaduto. Adesso anche lui ha gli elementi per riferire su quanto è accaduto». Vinto o pareggiato? «Nè l’uno nè l’altro perché per ora ho giocato da solo». Ora però la palla passa al premier.
Intanto resiste, Cosimo Ferri. E’ vero che quel messaggino promozionale, inviato agli ex colleghi per sostenere la candidatura al Csm di Lorenzo Pontecorvo e di Luca Forteleoni, nelle votazioni concluse ieri, gli ha procurato critiche dure. A partire da quella del premier Matteo Renzi che aveva parlato di «vicenda indifendibile». E ieri anche l’Associazione Nazionale Magistrati si è scagliata contro l’iniziativa di Ferri, magistrato fuori ruolo sì, ma membro dell’esecutivo.
«Un’evidente e grave interferenza» accusa il sindacato delle toghe, censurando quell’sms elettorale che fa emergere «ancora la problematicità dei rapporti tra politica e magistratura e la necessità di porre dei limiti per assicurare una netta distinzione di ruoli e funzioni». Il fatto che Ferri fosse «un magistrato che al momento della nomina ricopriva la carica di membro del Comitato direttivo centrale dell’anm, nonché di segretario nazionale di una delle componenti della magistratura associata, ripropone il dibattito relativo alla partecipazione dei magistrati alla vita politica», rincara. Invitando ad «evitare ogni possibile confusione di ruoli».
Ma Ferri, ieri, glissava su quelle critiche e sulla richiesta di dimissioni formulata dal segretario Adusbef, Elio Lannutti, e dal Cinquestelle Maurizio Giarrusso.
Del resto una certa resistenza alle bufere politiche il sottosegretario l’ha già dimostrata nello scorso governo, quando non mollò la poltrona dopo l’addio della componente berlusconiana, appellandosi al fatto di essere un «tecnico». Stavolta, nel colloquio con Orlando ha fatto pesare l’opposto: rivendicando il suo diritto a schierarsi per due candidati al Csm, pur ricoprendo un incarico istituzionale super partes.
Orlando ha ascoltato. Ne riferirà a Renzi nelle prossime ore. E sarà lui a decidere se Ferri debba restare o lasciare l’incarico. «Renzi induca Ferri a rassegnare le dimissioni - invoca l’ex magistrato Ferdinando Imposimato -. Non si possono esercitare contemporaneamente le funzioni di magistrato, votando e facendo propaganda a due candidati al Csm , e proporre disegni di legge sulla giustizia. C’è un macroscopico conflitto di interessi».
Intanto occorrerà aspettare forse fino a venerdì per sapere se le votazioni hanno avuto l’effetto auspicato da Ferri. O hanno vinto candidati di Mi più invisi a lui, come Sergio Amato, pm anti-camorra a Napoli che oggi sul Corriere del Mezzogiorno chiarisce: «Finiamola con ‘sta storia dei tecnici. Ferri è un politico». Il problema, per Amato, non è l’sms, anche se «uno nella sua posizione non può interferire nella campagna elettorale per il Csm».
Ma il problema vero è «l’eterodirezione del gruppo di Mi da parte di un sottosegretario di Stato». E il fine di avere propri candidati: «Il Csm nomina procuratori, presidenti dei tribunali, dirigenti degli uffici. Gli sponsorizzati avranno un debito di riconoscenza. Ma chi ha aderito a Mi perché era la corrente di Paolo Borsellino, non si può riconoscere in una corrente etero-diretta da Ferri».
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