SPENDING REVIEW? DA SACCOMANNI A COTTARELLI, LA SENSAZIONE ORMAI È QUELLA DI AVERE A CHE FARE CON UNA LEGGENDA METROPOLITANA

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Francesco Bonazzi per Dagospia

 

Fabrizio Saccomanni e moglie Fabrizio Saccomanni e moglie

La sensazione ormai è quella di avere a che fare con una sfoglia che viene tirata all’inverosimile, man mano che cresce il numero delle bocche da sfamare, che in questo caso sono i nostri pericolanti conti pubblici. La spending review non basta mai, ma sulla carta, e soprattutto a parole, non conosce confini.

 

Un minimo esercizio di memoria aiuta a capire le acrobazie di oggi e domani. E il tema è centrale perché tanto il ministro Pier Carlo Padoan, tanto il premier Matteo Renzi, escludono di dover fare una manovra correttiva sui conti pubblici al rientro delle ferie e parlano solo di maggiori tagli di spesa.

 

COTTARELLI COTTARELLI

Nell’autunno scorso, che sembra una vita fa, l’allora ministro del Tesoro Fabrizio Saccomanni aveva fissato per la spending review un obiettivo definito “ambizioso”: snidare e tagliare sprechi per 32 miliardi di euro fino al 2016. Lurch Cottarelli, neo commissario per la spending review, aveva tagliato del 50% le stime e lo stesso aveva fatto il prudente Enrico Letta. Vediamole.

 

Le stime per il 2014 erano inferiori al milione di euro, poi si passava a 3,5 miliardi per il 2015 e a 8,3 miliardi per il 2016. Era il novembre del 2013 e sembrava il massimo di estensibilità della famosa “sfoglia”.

 

draghi padoan 2draghi padoan 2

Poi succede che cambia il governo, Renzie si sostituisce a Lettanipote a Palazzo Chigi e Padoan prende il posto di Saccodanni, mentre Cottarelli sta sempre al suo posto. Ed evidentemente fa i miracoli con la sfoglia. Ad aprile di quest’anno, nel Def vengono inserite stime mirabolanti.

 

VIGNETTA MANNELLI - GIARDA SPENDING REVIUEVIGNETTA MANNELLI - GIARDA SPENDING REVIUE

Vediamole anno per anno. Nell’anno in corso i miliardi da spending review passano da meno di uno a quota sei miliardi. Nel 2015, si vola da 3,5 a ben 17 e per il 2016 si registra un bel quadruplicamento, con la crescita da 8,3 a 32 miliardi. Diciamo che nel frattempo l’esame degli sprechi ha fatto progressi. Molti progressi.

 

Il problema è che la spending review, che a ottobre resterà orfana di Cottarelli (ritorna al Fondo monetario internazionale), rischia di diventare un bancomat delle promesse e dei sogni. E le sue stime-chewing gum sono sempre più chiaramente al servizio dell’emergenza di giornata. Non si risparmierà quel che si può, ma quel che serve.

 

Draghi RenziDraghi Renzi

Sotto questo profilo sono illuminanti le parole sfuggite in tv al premier la sera del 7 agosto: “A noi servono 16 miliardi di spending review per il 2015 che ci permetterebbero di stare sotto il 3% deficit/pil con una crescita non esaltante”. In quel “a noi servono” c’è la storia della crescita della spending review, che forse non è neppure ancora finita.

 

In questi giorni, dopo le brutte notizie sul Pil e il “warning” della Bce sulle riforme economiche, sui giornali sono state fatte filtrare nuove stime di tagli, che oscillavano tra un minimo di 20 e un massimo di 25 miliardi. Come sono lontani i 3 miliardi e mezzo del governo Letta. Ma forse la sfoglia non ha ancora finito di allungarsi. Per vederlo, basta aspettare le prossime stime.