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Silvia Bencivelli per La Repubblica
Chiamatelo pure crepacuore: per i medici esiste davvero. Numeri alla mano, una ricerca inglese ha dimostrato che i casi di anziani coniugi morti a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro non possono essere considerati leggende metropolitane o aneddoti melensi, ma sono casi clinici reali.
Così il cuore infranto è passato dalle pagine dei romanzi a quelle della rivista scientifica dell’American Medical Association, che ha finalmente quantificato la forza dell’amore per la prima volta affrontata come una vera questione
medica.
La ricerca ha preso in considerazione lo stato di salute di 110.000 inglesi tra i 60 e gli 89 anni, pazienti di 401 ambulatori di medicina generale del Regno Unito che sono stati seguiti per sette anni. In questi sette anni, circa un terzo delle persone del campione (se non è morto) è rimasto vedovo. E qualcuno di questi vedovi non ha retto al dolore, morendo entro trenta giorni dal decesso del proprio coniuge.
Per loro il rischio di morte, hanno calcolato i ricercatori, era addirittura raddoppiato rispetto a quello di chi aveva avuto la fortuna di continuare a vivere in coppia. Si trattava di un rischio comunque basso (nel campione si passava da uno 0,08% a uno 0,16%), ma per gli autori significativo. Ed è importante notare, sottolineano, che dopo 30 giorni l’aumento del rischio si attenuava per tornare sui livelli normali considerata l’età, anche se il dolore del lutto era sempre presente.
Nessuna novità per la cronaca e la letteratura, che dal Re Lear di Shakespeare in poi ci hanno abituato a storie di morti per dolore. Ma una prima solida conferma su quanto già visto in passato da alcune ricerche scientifiche che avevano cominciato
a sospettare un aumento del rischio generico di morte per i partner delle persone ricoverate o gravemente malate.
Che cosa sarebbe clinicamente il crepacuore? Per la British Hearth Foundation, si tratta di una sindrome precisa chiamata cardiomiopatia da stress, o cardiomiopatia takotsubo dal nome di uno strumento usato in Giappone per catturare i polpi. È una condizione in cui, d’un tratto e senza motivi oggettivi apparenti, il cuore si indebolisce, e in particolare si indebolisce il ventricolo sinistro che viene ad assumere una forma particolare, quella del takotsubo per i polpi appunto.
Cuore di carta riemerso dai ghiacci di New York
La condizione è temporanea ed è preceduta nella maggioranza dei casi da un grave stress emotivo, ma non si parla solo di un lutto: sono per esempio documentati casi di persone che hanno manifestato la malattia dopo essere stati vittime di scherzi pesanti e di cattivo gusto, e altri che hanno riguardato le vittime di disastri naturali.
Attenzione, precisa l’associazione inglese: la malattia del cuore infranto va distinta bene dall’infarto, nonostante i sintomi possano essere simili, perché questo dipende dall’ostruzione di una delle arterie coronarie che nutre il muscolo cardiaco. Il cuore infranto, invece, si può manifestare anche in persone sane, con le coronarie pulite e ben funzionanti, perché dipende in qualche modo dalla secrezione di ormoni in risposta allo stress emotivo subito.
La conferma dell’esistenza di una sindrome da crepacuore, per i medici, imporrebbe una particolare attenzione alle persone che hanno appena subito un lutto, che sarebbero da assistere da un punto di vista fisico e non soltanto psicologico. Significa però anche una nuova dimostrazione degli effetti sulla salute dell’amore romantico.
Se perderlo in maniera traumatica, con il lutto, può portare a morte, si è osservato che se c’è, e finché dura, è invece una protezione contro le malattie: una specie di elisir di buona vita e buona salute.
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