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Danilo Taino per il "Corriere della Sera"
Il caso dei due marò italiani trattenuti in India si sta avviando verso una svolta. Delicata. Ieri, di fronte alle commissioni Esteri e Difesa di Senato e Camera, l'inviato speciale del governo, Staffan de Mistura, ha ribadito in toni netti che «noi al processo non andiamo», cioè che l'Italia rifiuta senza se e senza ma la giurisdizione indiana e vuole che il giudizio su Salvatore Girone Massimiliano Latorre sia espresso da una corte italiana o internazionale.
In più, de Mistura ha parlato di «un'iniziativa internazionale che dovrebbe produrre i propri effetti in termini concreti nel giro di un mese»: non ha però voluto dire di cosa si tratti per «evitare che le controparti (cioè l'accusa indiana, ndr) abbiano elementi eccessivi per poter fare contromosse». La determinazione a rifiutare la giurisdizione indiana sembra ormai essere una scelta politica definitiva. L'hanno ribadita più volte le ministre degli Esteri Federica Mogherini e della Difesa Roberta Pinotti.
Quello che è meno chiaro e che rende il passaggio delicato è che finora, anche nelle ultime settimane, non tutte le azioni in questa direzione sono state coerenti con il rifiuto della giurisdizione di Delhi. Una mancanza di coerenza che potrebbe indebolire un'iniziativa tesa ad arrivare a un arbitrato internazionale, o almeno allungarne i tempi. C'è chi dice che un ricorso all'arbitrato potrebbe essere fatto già la prossima settimana. Sarebbe possibile, se la Corte suprema decidesse nell'udienza di domani quali sono i capi d'imputazione contro Girone e Latorre: ciò darebbe all'Italia munizioni per alzare i toni della disputa anche sul piano legale.
Una seconda possibilità sarebbe un'iniziativa direttamente italiana per creare un caso di conflitto con gli indiani così forte da offuscare il fatto che finora abbiamo esplicitamente o implicitamente accettato la giurisdizione dell'India. Ma che la Corte suprema di Delhi stabilisca i capi d'imputazione è improbabile. E che l'Italia abbia la volontà di creare un elemento di scontro aperto non è scontato.
Senza questi elementi, che renderebbero solido un ricorso alla giustizia internazionale, si rischia di prendere un'iniziativa debole, «una camomilla invece che un darjeeling tea», dice una fonte indiana coinvolta nella vicenda.
Per costruire una posizione forte e sperabilmente vincente, occorre invece una compattezza coerente da parte italiana nel rifiutare ogni elemento della giurisdizione indiana e arrivare, forse nel giro di un mese, a dare il via alla procedura di arbitrato. Oggi, il presidente del Consiglio Matteo Renzi probabilmente parlerà del caso dei due fucilieri con il presidente americano Barack Obama
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