
FLASH! - IL DILEMMA DI GIORGETTI: IL CAPO DELLE PARTECIPATE DEL TESORO E SUO FEDELISSIMO, MARCELLO…
Davide Vecchi per il “Fatto Quotidiano”
Ha la criniera un po' afflosciata, Denis Verdini, al termine dell' interrogatorio ieri in aula a Firenze. Dalle 10 alle 19. Con una pausa di trenta minuti alle 14 per un panino.
Alla fine corre in bagno. "Ma per l' esame del doping, eh". Ci scherza ma il senso è chiaro: "Manca solo questo". Spremuto per nove ore. Dai pubblici ministeri Giuseppina Mione e Luca Turco. Dagli avvocati di parte civile per agenzie dell' entrate, Presidenza del Consiglio e Banca d' Italia.
Nove ore. Sotto gli occhi della figlia più piccola, Francesca, che segue l' intera udienza.
Alla fine lui sembra sfinito, dopo "l' esame del doping", s' accende una delle tante Marlboro che non ha potuto fumare. Si rilassa. Appare soddisfatto. E per parlar d' altro si concede a commenti sulla situazione politica. A partire dalle intercettazioni che "andrebbero riformate perché mi creda se uno ci passa si rende conto che molte sono inutili".
E dice che fosse stato lui nel ministro Federica Guidi "non mi sarei dimesso, a me non sarebbe capitato: non ho quei rapporti", riferendosi al legame tra l' ex ministro e il compagno Gianluca Gemelli. "Lei ha un' azienda, una figura importante, non è abituata all' ambiente della politica".
Poi il referendum: "Io a votare non ci vado, perché non credo in quell' istituto, se c' è un parlamento che deve deliberare non ha senso demandare ad altri". Infine il suo sostegno al governo che, dice, "è scontato perché questo esecutivo è nato zoppo, ma non è questione di fare la stampella o meno, semplicemente di fare le riforme".
Da Silvio Berlusconi a Matteo Renzi, Verdini è sempre stato con chi comanda. "Si vede che ho fiuto", scherza ancora. Dopo dieci ore di aula parlare dell' amico Renzi aiuta ad alleggerire. Dieci ore in cui ha dovuto ricostruire i passaggi che hanno portato alla bancarotta di quella che lui chiama con orgoglio "la mi' banca", quel Credito Cooperativo Fiorentino di cui è diventato presidente nel 1990 e ha lasciato venti anni dopo esatti, nel 2010.
Per spiegare i rapporti tra l' istituto di credito e l' impresa edile Btp di Riccardo Fusi (coimputato, insieme ad altri) Verdini inizia una risposta così: "Dobbiamo tornare al 1975". Il processo è uno dei cinque in cui il senatore è imputato. L' accusa a suo carico?
Falsa fatturazione, ostacolo alla vigilanza.
Poi bancarotta fraudolenta per il Ccf ma anche truffa ai danni dello Stato per la sua casa editrice, la Ste, che pubblicava il Giornale di Toscana e che secondo l' accusa ha ricevuto fondi per l' editoria per circa 20 milioni con artifizi. E anche qui la criniera perde volume, si affloscia, a frugare nella memoria. "Tutto lecito", ripete. Non perde mai la pazienza. Spiega. Risponde.
La sua versione. Certo. Ccf e Ste. Due processi in uno. E se nel primo si scontra con Banca d' Italia perché "ogni ispezione scrivevano tutto e il contrario di tutto, se andassero a scuola li boccerebbero, ma prima poi il momento arriverà anche per loro: arriva per tutti", si lascia sfuggire.
Per poi recuperare: "Per me è il santuario eh, Banca Italia dico, ma per sapere come mai mi hanno commissariato la banca sto ancora aspettando una risposta dall' Europa, qui non mi danno spiegazioni, sarà mica normale?". Così per nove ore. Verdini si difende. Assistito da Franco Coppi, insieme a Ester Molinaro e Marco Rocchi, che salvo il controinterrogatorio condotto da Molinaro, non proferiscono parola.
Fa tutto lui, Denis. Tanto che a fine pomeriggio, allo scoccare delle 19, mentre il presidente del collegio giudicante gli rivolgeva altre domande sui rapporti con Fusi, Verdini scherza: "Avrei anche una difesa". Coppi allarga le braccia, sorride. A sentire le contestazioni delle parti civili, Verdini sbotta: "Non sono il diavolo". Lunedì sarà di nuovo qui, a palazzo di giustizia di Firenze.
Di nuovo al banco degli imputati e di nuovo per una bancarotta. Questa volta della Ste.
"Son curioso di sentire che dicono: non so più neanche quanti processi ho", dice. Eppure, a differenza dei suoi "capi", Berlusconi prima e Renzi poi, lui non ha mai attaccato la magistratura. "A Fare? Ci mancherebbe".
VERDINI E RENZI due
VERDINI BOSCHI
verdini 2
CROZZA - VERDINI E RENZI
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