NE VEDREMO DELLE BELLE: VOLANO GIÀ GLI STRACCI TRA I TECNO-PAPERONI CONVERTITI AL TRUMPISMO – ELON…
Francesco Bei per "la Repubblica"
«E se facessimo da soli?». Nella lunga notte di festeggiamenti per la vittoria alle primarie la domanda proibita risuona più volte nel quartier generale del Pd. Sull'onda del successo di Bersani la tentazione si fa strada sempre più forte. Quella di dar vita a uno schieramento progressista, di centro-sinistra, che possa essere autosufficiente.
Anche facendo a meno di Pier Ferdinando Casini, di Gianfranco Fini e della Lista per l'Italia. Magari sostituiti, se fosse necessario e se le condizioni dei centristi fossero troppo onerose, da un raggruppamento nuovo, di moderati, qualcosa tipo «modello Tabacci», dal nome del candidato alle primarie del Pd.
Il ragionamento degli uomini vicini al segretario parte dalla constatazione che la riforma della legge elettorale è ormai sempre più a rischio. Berlusconi intende sabotare l'intesa raggiunta al Senato e nel Pd dubitano che Alfano riesca a difendere l'accordo basato sul lodo Calderoli. Ma c'è un punto del Porcellum che, in ogni caso, andrà modificato. Tutti sanno che è necessario - perché lo pretende il capo dello Stato e perché l'ha chiesto la Corte costituzionale - introdurre una soglia per il raggiungimento del premio di maggioranza.
Soglia che l'accordo di palazzo Madama prevede al 40% dei voti. Con gli attuali sondaggi, tanto più sull'onda del successo delle primarie, il Pd e Sel si avvicinano molto all'asticella. Manca poco: Bersani e Vendola sono oggi al 36% secondo le ultime rilevazioni in mano al Pd. Se nella coalizione per Bersani ci fosse un'altra lista del 4% sarebbe fatta.
Certo, la porta alla "Lista per l'Italia" non viene chiusa. Al Nazareno sono convinti che sia meglio avere Casini e Fini come alleati che come avversari. Ma senza più sottostare a condizioni capestro e soprattutto mettendo definitivamente in soffitta l'ipotesi di un reincarico a Monti. L'attuale premier sarebbe la carta di riserva «solo nel caso non ci fosse una chiara maggioranza», spiegano nel Pd.
Altrimenti la «giusta collocazione» che Bersani intende discutere con Monti è un'elevazione agli onori del Quirinale, tenendo anche presente che sarà proprio la scelta del capo dello Stato il primo compito del nuovo Parlamento. In subordine Bersani non esclude di proporre all'attuale premier il ministero dell'Economia, avendo tuttavia già avuto chiari segnali che l'offerta sarà rifiutata dall'interessato.
«Modello Tabacci», dunque, come carta da calare a sorpresa se passasse lo schema d'attacco senza Casini. Un po' come avvenne alle elezioni del 1996 con la lista di Rinnovamento Italiano, guidata da un moderato come Lamberto Dini, che contribuì con il 4,3% alla vittoria di Romano Prodi. E se il cantiere del centro - da Montezemolo a Fini, da Casini a Riccardi - non riuscisse a coagularsi in un cartello unitario, nel Pd vorrebberoavere comunque come interlocutori i firmatari del manifesto "verso la Terza Repubblica".
Per coinvolgere almeno Montezemolo e il ministro Riccardi, il presidente della Acli Andrea Olivero e Raffaele Bonanni nell'operazione "Moderati per Bersani". Visto da palazzo Chigi il risultato delle primarie pone invece dei seri interrogativi sull'atteggiamento del Pd nei prossimi mesi. Raccontano che Monti, nei colloqui riservati avuti con quei bersaniani che tengono aperte le comunicazioni con il governo, l'abbia chiesto esplicitamente: «Ma cosa succede il giorno dopo le primarie? Dovrete pagare un prezzo al sostegno di Vendola?».
Perché il timore del premier è proprio quello, che l'asse del Pd si sposti troppo sulla linea radicalmente ostile tenuta da Vendola in questi mesi. La speranza, al contrario, è che il buon risultato ottenuto da Renzi offra a Bersani una solida sponda per tenere il partito ancorato su posizioni più moderate. E non è escluso che della questione il presidente del Consiglio ne discuta oggi a Lione nel colloquio con François Hollande, conoscendo il rapporto stretto e la stima esistente fra il presidente socialista e Bersani.
Nelle conversazioni di queste ore - soprattutto dopo la minaccia del Pdl di far cadere il governo nel caso non si votassero in un'unica occasione le Regionali e le Politiche - si ragiona anche sulla data migliore per chiudere la legislatura. Nel Pd si sta facendo strada l'idea che non sia possibile andare al voto il 10 febbraio per il Lazio e la Lombardia e un mese dopo per le politiche.
Non è un arrendersi alla propaganda del Pdl, ma la constatazione che appena quattro settimane di differenza e cento milioni di risparmi non siano argomenti del tutto pretestuosi. Tanto più che immaginare un election day anticipato al 10 febbraio viene considerato un azzardo. Nessuno infatti è ancora pronto. Non lo sono i centristi, alle prese con la decisione sulla lista unica Casini- Fini-Montezemolo. E non lo è nemmeno Berlusconi, che deve ancora decidere il modo con cui scendere in campo per la sesta volta.
PIERFERDINANDO CASINI E PIERLUIGI BERSANI pier luigi bersani PIER FERDINANDO CASINI MATTEO RENZI VOTA ALLE PRIMARIE tabacciGianfranco Fini Luca Cordero di Montezemolo Andrea Riccardi
Ultimi Dagoreport
DAGOREPORT – I GRANDI ASSENTI ALL’INAUGURATION DAY DI TRUMP? I BANCHIERI! PER LA TECNO-DESTRA DEI…
DAGOREPORT – DA DOVE SPUNTA IL NOME DI SANDRO PAPPALARDO COME PRESIDENTE DELLA NUOVA ITA “TEDESCA”…
C’ERA UNA VOLTA IL TRENO PER KIEV CON DRAGHI, MACRON E SCHOLZ. ORA, COMPLICE IL TRUMPISMO SENZA…
FLASH – COME MAI IL PRIMO MINISTRO UNGHERESE VIKTOR ORBAN, PUR INVITATO, NON È VOLATO A WASHINGTON…
DAGOREPORT - DANIELA SANTANCHÈ A FINE CORSA? IL CAPOGRUPPO DI FDI IN SENATO, LUCIO MALAN, È A…