DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
Federico Fubini per “la Repubblica”
Qualcuno parla già di lui al passato, quasi che ormai fosse tornato al Fondo monetario internazionale. Ma Carlo Cottarelli non si è ancora tolto il cappello da commissario alla spending review e intende fare il suo dovere fino in fondo. Giovedì presenterà la sua proposta più operativa: il taglio dei costi delle società partecipate dalle amministrazioni dello Stato e una drastica sforbiciata al loro numero, così esorbitante che nessuno sa più quante sono: di certo, più di diecimila.
L’IMPEGNO DI RENZI
Il 18 aprile scorso Matteo Renzi si è impegnato a ridurle “a mille entro tre anni”. Il premier lo ha fatto nella conferenza stampa in cui annunciò il bonus da 80 euro al mese sui redditi medio-bassi, una promessa mantenuta. Ora Cottarelli intende aiutarlo a rispettare anche quella sulle imprese di cui sono azionisti lo Stato centrale, le regioni, le provincie o i comuni. È un obbligo di legge: il decreto 66, quello sul bonus Irpef, vincola il commissario a presentare in questi giorni un piano sulle mille piccole Iri d’Italia e ormai esso è pronto. Il piatto forte sarà un doppio programma di liquidazione e accorpamento di migliaia di imprese pubbliche o semi-pubbliche.
AL LAVORO CON LA CORTE DEI CONTI
Per arrivarci, Cottarelli ha lavorato fianco a fianco con la Corte dei Conti su ciò che è dato sapere dei bilanci delle società pubbliche. È stato un viaggio dalle gigantesche controllate della Regione Lombardia, alle follie veneziane, fino alle società “in house” di Priolo Gargallo in Sicilia, passando le attività balneari di Alassio, l’incredibile voragine finanziaria di Viareggio, i problemi della provincia di Firenze e gli scioccanti livelli di costo pari e inefficienza dell’Ama, la società dei rifiuti del comune di Roma.
In Italia le società controllate al 100% da amministrazioni dello Stato sono circa cinquemila, di cui 400 in mano alle regioni. Cottarelli definisce questo mondo una “giungla”. Un codicillo fatto passare dal governo di Mario Monti due anni fa ora obbliga gli amministratori di questa giungla a fare un po’ di trasparenza: i revisori devono registrare i loro conti sul Siquel, la banca dati della Corte dei Conti. I primi numeri iniziano ad emergere proprio in queste settimane, con vaste lacune, ma il quadro che si profila appare già più critico del previsto.
Non c’è solo il fatto che, in aggregato, le partecipate viaggiano con una perdita netta di 1,2 miliardi (sul 2012). C’è di peggio: anche gli utili dichiarati spesso sono da prendere con le molle. Non che siano falsi: sono solo indebiti, in molti casi. Possibile? Solo la metà delle cinquemila imprese prese in esame dalla Corte dei Conti, dunque appena un quarto della galassia del capitalismo di Stato, dichiara la vera entità dei trasferimenti ricevuti dalle amministrazioni pubbliche.
maroni sul palco con bossi a pontida
Ma già così i dati sono eloquenti: 61 imprese, alcune enormi, incassano in cambio della loro attività delle somme superiori al valore della loro produzione. È come se i contribuenti pagassero qualcuno per farlo lavorare otto ore, ma questi ne assicurasse solo quattro o sei. Date le proporzioni del campione, è dunque certo che le imprese pubbliche in questa situazione in Italia sono molte più di cento. Senza parlare di altre aziende partecipate che forniscono servizi a costi eccessivi o costituiscono veri e propri doppioni con gli enti che le controllano.
IL CASO LOMBARDIA
Il caso Lombardia è forse il più evidente, anche se fino a oggi era difficile per il contribuente di quella regione misurare i costi che sta coprendo. Non che la giunta guidata da Roberto Maroni controlli al 100% molte imprese: sono appena quattro, create per esternalizzare certe funzioni e la fornitura di servizi.
Ma il loro fatturato totale sfiora i 400 milioni di euro, molto più della spesa in personale dell’ente stesso. I trasferimenti dall’azionista cliente — cioè la Regione — non sono stati comunicati dai revisori alla banca dati della Corte dei Conti, ma colpisce un fatto: il fatturato di Lombardia Informatica, la società per la fornitura di beni e servizi elettronici, raggiunge la cifra monstre di 185 milioni di euro (sul 2012).
Costa molto ma almeno la Regione risparmia sulle spese in computer, si presume. Sbagliato: nel bilancio preventivo per cassa della giunta Maroni figurano nel 2014 altri 71 milioni per “statistica e servizi informatici”. Di conseguenza ogni volta che vedono salire le addizionali regionali, i contribuenti lombardi possono legittimamente sospettare che stanno pagando due volte per le stesse funzioni dell’ente che li tassa.
IL RECORD DI ROMA
Il comune di Roma Capitale detiene invece un altro record: una sua impresa riesce a incassare denaro in eccesso al valore della propria produzione a livelli senza eguali in Italia e forse in Europa. Si tratta dell’Ama, ovviamente. Ai conti del 2012, la società romana della raccolta rifiuti ha fatturato per 752 milioni di euro ma il totale delle erogazioni pubbliche a suo favore ha superato il miliardo.
In sostanza ha incassato 250 mila euro per pulizie che non ha fatto, e si vede: malgrado la grande disponibilità di denaro del contribuente, Roma resta senz’altro la capitale più sporca dell’Unione europea. E l’utile di 16 milioni dell’Ama può in realtà essere visto come una perdita, se solo i pagamenti fossero stati in linea al lavoro effettivamente svolto. Roma non è sola, beninteso.
Venezia per esempio le fa compagnia con alcuni risultati singolari. Sul 2012 la Cmv Spa, la società del casinò del comune, dichiara un “valore della produzione” di 72 milioni di euro ma erogazioni dall’ente azionista di 173 milioni. In sostanza, il casinò viene sussidiato dalle tasse per oltre il doppio del suo fatturato. Per non parlare dell’Istituzione per la Conservazione della gondola e la tutela del gondoliere: fattura mezzo milione, incassa dal comune 760 mila.
TRA FIRENZE E VIAREGGIO
Più a sud spicca il caso della Florence Multimedia, società di pubbliche relazioni fondata dalla provincia di Firenze quando presidente era Matteo Renzi. Sia il ministero dell’Economia che la Corte dei Conti hanno mosso rilievi molto critici sulla gestione. Certo nel 2012, quando Renzi non era più alla provincia, è fra le società pubbliche che incassano più di quanto fatturato: oltre 1,1 milioni di euro.
monnezza a roma dal sito romafaschifo
Niente a confronto di Viareggio, una piccola Grecia in Toscana. Lì il comune nel 2012 dichiarò un deficit di 1,5 milioni che la Corte dei Conti rivide al rialzo a 9 milioni. L’anno dopo, cambiata la giunta, il buco sale a 53 milioni di euro per le perdite più o meno nascoste in precedenza. Pesano le voragini di società “esterne” come la Viareggio Patrimonio o la Fondazione Carnevale.
La lista delle assurdità potrebbe continuare. A Alassio la società comunale “Bagni del Mare” fattura 43 euro ma ne incassa centomila. A Ascoli in Palio della Quintana ne fattura 63 mila ma gliene versano 274 mila. E così via. Non tutti lasciano che le cose continuino così: nel Lazio il governatore Nicola Zingaretti ha ereditato una regione al default di pagamento sui fornitori, ma è già riuscito cinque controllate e ne vuole eliminare dieci su 40.
Non è mai facile chiudere una società di una Regione, perché serve il voto a maggioranza del consiglio e gli eletti del popolo di solito non vogliono mai privarsi di una buona fonte di spesa e sprechi. Specie ora: in ottobre si vota in Emilia-Romagna, in primavera in altre sei Regioni. Per Renzi, è arrivato il momento di mostrare che sulla sua promessa di quattro mesi fa fa davvero sul serio. Con o senza Cottarelli.
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