DAGOREPORT – DANIELA SANTANCHÈ NON È GENNARO SANGIULIANO, UN GIORNALISTA PRESTATO ALLA POLITICA…
Liana Milella per “la Repubblica”
Si scatena furibondo lo scambio di accuse tra Pd e Forza Italia. Gli uni contro gli altri per aver «disatteso i patti». Si grida al «tradimento». «Ci tradite con i franchi tiratori» gridano i primi. «No, siete voi che non rispettate i patti» replicano i secondi. Quando il risultato della Consulta, alle 22 passate, arriva a palazzo Grazioli esplode anche la collera di Berlusconi. «Il muro non è caduto. A questo punto anche il patto con Renzi sulle riforme è veramente a rischio ». In questi minuti drammatici la meraviglia più grande è quella del Quirinale, che era stato ripetutamente tranquillizzato con messaggi del tipo «vedrete che ce la facciamo».
Invece è andata storta. Anche se Berlusconi ha speso l’intera giornata chiamando uno per uno molti deputati e senatori per garantire il voto su Bruno e Violante. Entusiasta, nel pomeriggio, per la battuta di Renzi sugli avvisi di garanzia «citofonati ai giornali» che sembrano proprio andare a pennello sul suo famoso avviso, quello di Napoli del ’94, che gli costò il governo. Sembrava proprio la giornata giusta per cambiare definitivamente pagina sulla giustizia. Mentre le toghe si lagnano sulle mailing list contro Renzi perché «stiamo per essere metaforicamente acciaccati al muro».
Di svolta parlano esplicitamente uomini strategici di Forza Italia come Verdini e Ghedini, tutte e due a lungo presenti a Montecitorio. «Se il Pd ha scritto sulla sua scheda il nome di Bruno e di Vitali significa che abbiamo definitivamente accantonato, dopo vent’anni, la guerra sulle leggi ad personam» s’illudono quando sono le 20. Proprio Bruno fu il primo a inventarsene una, era il ’98, pieno governo Prodi, quando tentò di infilare un emendamento che vietava il carcere per chi aveva più di 70 anni. Giusto quando, in cella, avrebbe potuto finirci il suo amico Previti.
Ma nelle file del Pd ora nessuno se ne ricorda più. È storia troppo lontana. Il mood è tutt’altro. Di Bruno si parla bene, come di un politico affidabile, che ha lavorato per mandare avanti il treno delle riforme costituzionali. Per questo Forza Italia e Pd erano convinti di avercela fatta. Sarebbe stato un giorno storico, che avrebbe chiuso il patto del Nazareno tra Berlusconi e Renzi. Per giunta quando crolla l’incubo dell’avviso di garanzia come arma della magistratura per dettare i temi della politica.
«Forse non abbiamo scelto gli uomini giusti» dice una fonte forzista quando legge il risultato. Prosegue: «Forse non si può chiedere ai nostri di votare in modo convinto per uno come Violante, perché lui è sempre il “piccolo Vishinskij” come amava definirlo Cossiga, uno che ha rappresentato per anni il partito delle procure». Poi l’attacco a fondo contro il Pd: «Sicuramente molti dei nostri non l’hanno votato, ma loro? Lo vogliono veramente? O sono stati i primi ad affondare la sua candidatura?». Dopo una mezz’ora di frenetiche telefonate alla fine l’interpretazione dentro Forza Italia si codifica: «Sono stati loro. Adesso devono trovare un nuovo candidato perché noi usciamo dal massacro, Violante non lo votiamo più».
Neppure nel Pd hanno votato compatti Bruno. Perché i mal di pancia sono comunque rimasti. La sinistra del partito non lo vuole, ha fatto impressione quella scheda consegnata a mano dai dirigenti dei Dem in cui, sotto il nome di Violante, sono scritti quelli di Bruno e Vitali. C’è perfino chi, di fronte ai giornalisti, straccia il foglio di carta bianca, come fa Corradino Mineo. Bruno ne fa le spese, anche se a risentirne in modo definitivo è Vitali. Che di mattina aveva pure incontrato Anna Finocchiaro. «È una mia amica» aveva detto uscendo. E poi scherzando: «Dicono che sono un falco, ma qui contro di me stanno facendo il tiro al piccione». Berlusconi lo ha tranquillizzato («Sei sempre il nostro candidato »), ma lui già pensa a farsi da parte, perché «non permetto a un grillino di macchiarmi l’onore ». Romani continua a sostenerlo, ma Verdini già cerca un altro nome.
Dopo il flop Violante-Bruno si tendono i rapporti tra le diplomazie di Renzi e di Berlusconi. Il Colle minaccia un nuovo e pesante intervento. Il patto sulle riforme è decisamente a rischio. L’ipotesi ormai è quella di accantonare sia Bruno che Violante perché dopo una giornata spesa per racimolare voti è chiaro che non servirà un’altra votazione per sdoganare i due aspiranti. A questo punto non resta che cercare dei tecnici puri, dei “professoroni”, com’è accaduto in passato quando si mise da parte Pecorella. Ma il rischio è che i tempi si allunghino a dismisura.
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