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suhar elasem al funerale dei suoi due bambini
Il fotografo italiano Alessio Romenzi non nutre l’illusione che i suoi scatti ai civili morti (molti sono bambini) nella striscia di Gaza, durante il conflitto fra Israele e Hamas, possano avere un impatto sulla guerra. Ma non è un buon motivo per non documentare la storia.
Romenzi, 40 anni, vive da cinque anni fra Israele e Palestina e spiega: «Non credo che le due parti sappiano come uscire da questa situazione. Ognuno è determinato a continuare a lottare».
Dall’ 8 luglio sono morti 27 israeliani e 479 palestinesi, tra cui 121 bambini. Da quando sono stati uccisi i tre ragazzi israeliani - fatto che, insieme all’assassinio dell’adolescente palestinese, ha in parte dato avvio alle ostilità - non sono più morti bambini israeliani. Le operazioni di guerra hanno ovviamente traumatizzato bambini di entrambe le parti. C’è chi critica Israele perché il suo esercito, invece che Hamas, sta colpendo troppi civili. Israele risponde che è Hamas a farsi scudo con i civili. Chi non ha colpe, resta vittima nel mezzo. Continua Romenzi: «A volte la gente muore perché si trova nel luogo sbagliato al momento sbagliato, vicino a un bersaglio. Ma nessuno sa esattamente dove siano i bersagli e perché siano ritenuti bersagli».
quattro ragazzi morti nella famiglia bakr
profughi palestinesi a beit lahiyapalestinesi scappano da gazapalestinesi scappano dalle caselo cielo sopra gazagaza city distruttaparenti delle vittime all obitorio dello shifa hospital a gazaprofughi palestinesi nella scuola di beit lahiya
Il fotografo era in Libia nel 2011 e in Siria nel 2012 e ogni volta ha scelto di concentrarsi sui civili: «I bambini non dovrebbero mai essere toccati dalla guerra» dice «Ogni giorno le persone mi fermano e mi chiedono perché il mondo non interviene. Si parla molto, ma non si concretizza nulla». Il problema è che queste foto, così atroci, non fanno più effetto: «Le abbiamo già viste eppure ci troviamo nella stessa situazione. Noi fotografi lo facciamo per il futuro».
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