CHI TOCCA RE GIORGIO MUORE: SOTTO SCHIAFFO I PM DI PALERMO

Enrico Paoli per "Libero"

Sembrava un caso chiuso o, almeno ridotto nella sua portata. Invece il procuratore generale della corte di Cassazione Giancarlo Ciani, titolare, insieme al ministro della Giustizia, dell'azione disciplinare nei confronti dei magistrati palermitani ha rivolto nei confronti di Nino Di Matteo, uno dei pm di Palermo che indaga sulla trattativa Stato-mafia, pesanti accuse.

Si va dalla violazione dei «doveri di diligenza e di riserbo», per finire con l'esser venuto meno al «diritto alla riservatezza» del Capo dello Stato. A Di Matteo e al procuratore del capoluogo siciliano, Francesco Messineo, ieri è stata notificata la proposizione dell'azione disciplinare.

Al pm si contesta di avere rivelato, in un'intervista al quotidiano La Repubblica, l'esistenza delle telefonate tra l'ex ministro Nicola Mancino e il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, intercettate proprio durante l'indagine sul patto che pezzi delle istituzioni avrebbero stretto con Cosa nostra. Messineo, invece,è accusato di non avere segnalato la violazione commessa dal suo sostituto agli organi titolari dell'azione disciplinare.

Le violazioni imputate a di Di Matteo, secondo il procuratore generale, sono di «particolare gravità perché », come affermato dalla Corte Costituzionale, «la discrezione delle comunicazioni del Capo dello Stato sono coessenziali al suo ruolo nell'ordinamento costituzionale».

Il riferimento è alla sentenza con cui la Consulta, accogliendo il ricorso del Colle sul conflitto di attribuzioni con la Procura di Palermo, ha disposto la distruzione delle intercettazioni. Una telenovela, quella della eliminazione delle telefonate, ancora non arrivata all'ultima puntata visto che un ricorso contro l'ordine di distruzione del gip, pendente in Cassazione, ha stoppato l'iter della cancellazione dei file controversi.

Ma cosa disse Di Matteo, il 22 giugno scorso, a Repubblica? Rispondendo a una domanda sulla sorte delle telefonate, la cui esistenza era già stata pubblicata dalla stampa, il magistrato rispose: «Negli atti depositati non c'è traccia di conversazioni del capo dello Stato e questo significa che non sono minimamente rilevanti».

Un'affermazione che, implicitamente, confermò quanto, peraltro, già noto. Difficile, quindi, sostenere ed accettare la tesi della violazione del segreto e del diritto alla riservatezza. All'atto del procuratore generale seguirà ora un'istruttoria che potrà chiudersi con la richiesta di non luogo a procedere o con quella di rinvio a giudizio: entrambe dovranno essere valutate dalla sezione disciplinare del Csm. Difficile fare previsioni.

Soprattutto ora che la politica sta vivendo giornate di grande fibrillazione. Solidarietà alle pm palermitani è stata espressa dai loro colleghi: «Esprimo tutto il mio sostegno al collega Nino Di Matteo, che ha costituito e continua a rappresentare, per me e per molti altri giovani magistrati, un vero e proprio modello di magistrato libero, determinato, coraggioso e rispettoso delle regole», dice il pm di Palermo Roberto Tartaglia.

 

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