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Gian Guido Vecchi per il Corriere della Sera
Chi ha trafficato con i documenti del Papa rischia fino alla scomunica. Non è affatto detto che la vicenda dei «corvi» si concluda con l'inchiesta penale condotta dai magistrati vaticani.
In settimana Paolo Gabriele - il maggiordomo che aveva in casa documenti rubati allo studio privato del Papa - sarà di nuovo interrogato, per gli inquirenti la fonte è «una» e negli ultimi dieci giorni hanno verificato e approfondito le sue dichiarazioni nei primi due interrogatori, l'attenzione si concentra su eventuali appoggi interni e contatti esterni.
Ma oltre all'aspetto strettamente «penale-civile» che riguarda lo Stato della Città del Vaticano - il furto al Papa, la violazione della corrispondenza di un capo di Stato e così via - per la Chiesa c'è anche quello «penale-canonico». Le due cose non si sovrappongono e hanno tempi diversi ma il processo canonico, chiariscono Oltretevere, potrebbe seguire a quello civile.
La materia, in questo caso, è tuttora disciplinata da una «istruzione» approvata da Paolo VI il 4 febbraio 1974 e firmata dal suo Segretario di Stato, il cardinale Jean Villot. Si intitola Secreta continere , dalle prime parole del testo sul rispetto del «segreto pontificio». L'articolo III, paragrafo 2, prevede che «colui che è accusato di violazione del segreto sarà giudicato da una commissione speciale» costituita «dal cardinale preposto al dicastero competente», o «dal presidente dell'ufficio».
Ma soprattutto spiega che «la commissione infliggerà delle pene proporzionate alla gravità del delitto e al danno causato». Il testo non indica alcun limite di pena e questo significa che potrebbe essere applicata come misura estrema anche quella più grave: la scomunica, in questo caso ferendae sententiae , cioè non automatica ( latae sententiae ) ma inflitta con un provvedimento.
Dal punto di vista canonico il caso è arduo, anche perché non se ne ricordano di simili. Il segreto pontificio tutelato dalla minaccia di scomunica (automatica) è quello del conclave, la scomunica è prevista anche per chi «usa violenza fisica» alla persona del Papa. Nel caso di Vatileaks si tratta tuttavia di un «segreto pontificio» violato in senso strettissimo, visto che sono documenti rubati al Pontefice.
La situazione è così grave, del resto, che Benedetto XVI ha nominato fin da aprile, per fare «piena luce» sulla rete dei corvi al di là dell'indagine dei magistrati, una commissione di tre porporati che è presieduta dal cardinale Julián Herranz, è la sola ad avere avuto l'autorità di sentire anche cardinali e risponde direttamente al Pontefice: proprio ieri pomeriggio il Papa li ha ricevuti in udienza, per la prima volta in forma ufficiale, segno che il quadro della loro inchiesta è già abbastanza definito.
Le persone tenute al segreto, oltre a «cardinali, vescovi, prelati superiori, officiali maggiori e minori, consultori, esperti, personale di rango minore» e tutti quelli a cui è stato imposto, sono pure coloro che «in modo colpevole avranno avuto conoscenza di documenti e affari coperti dal segreto pontificio» e anche quelli che, «pur avendo avuto tale informazione senza colpa da parte loro, sanno con certezza che essi sono ancora coperti dal segreto pontificio», si legge nell'articolo II dell'«istruzione».
Almeno sulla carta, come si vede, lo spettro è ampio e potrebbe riguardare anche chi ha ricevuto i documenti. Come del resto è ampia, pure senza arrivare alla scomunica, la casistica delle pene. Ecclesiastici o laici possono subire anche la «privazione» o la «sospensione» dal proprio «ufficio», spiegano Oltretevere.
Nel caso di chi «presta servizio» nella Curia romana, del resto, l'«istruzione» rimanda al regolamento generale della Curia del 30 aprile 1999: se la violazione del «segreto d'ufficio» comporta la «sospensione», all'articolo 76 si prevede il «licenziamento» per chi, tra l'altro, viola il «segreto pontificio».
E basterebbe la solennità del giuramento in latino richiesto a «coloro che sono ammessi al segreto pontificio», come si legge in Secreta continere : «Sono cosciente che il trasgressore di tale segreto commette un peccato grave. Che mi aiuti Dio e mi aiutino questi suoi santi Vangeli che tocco con la mia mano...».
Sacerdoti o laici, non fa differenza. Se invece risultasse coinvolto qualche cardinale - si è parlato di due, ma la Santa Sede ha smentito - ne risponderebbe «direttamente al Papa». Nella storia, peraltro, ci sono stati porporati allontanati da proprio ruolo e, come caso limite, la vicenda del cardinale Louis Billot, che sosteneva l'Action française condannata dalla Santa Sede: fu richiamato da Pio XI e il 13 settembre 1927 uscì dallo studio del Papa senza zucchetto e anello cardinalizio.
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