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Virginia Piccolillo per il “Corriere della Sera”
LUNGA CODA AL TRIBUNALE DI NAPOLI
Vincenzo De Luca è, e resta, governatore. Almeno per ora. Lo ha deciso la prima sezione civile del Tribunale di Napoli, mantenendo in sella il presidente della Campania che, a causa di una sua condanna precedente in primo grado per abuso di ufficio, in base alla legge Severino il 27 giugno era stato sospeso. Ma che, dopo aver fatto ricorso, era tornato a svolgere le funzioni di governatore perché gli effetti della norma erano stati a loro volta sospesi da un provvedimento d’urgenza del Tribunale.
«Una bella pagina di giustizia», esulta l’ex sindaco di Salerno che, tra mille polemiche, era stato candidato dal Pd, facendo valere il fatto che secondo la legge potesse correre per la carica: anche se su di lui, in attesa dell’esito definitivo del processo, incombeva la sospensione fino a 18 mesi dalla carica.
Il Tribunale di Napoli ha confermato il «congelamento». Perché — hanno spiegato nella motivazione Raffaele Sdino e Anna Scognamiglio, giudici della prima sezione, presieduta da Umberto Antico — la sospensione di De Luca «comporterebbe la lesione irreversibile del suo diritto soggettivo all’elettorato passivo, posto il limite temporale del mandato elettivo».
Così i magistrati hanno trasmesso gli atti alla Corte costituzionale sospendendo il procedimento in attesa della decisione della Consulta su quella norma. Il ragionamento del collegio è preventivo: il mandato di De Luca è in corso e non prevede tempi supplementari. Quindi, ove mai la legge Severino venisse dichiarata incostituzionale, lui non potrebbe ottenere riparazione. Dunque deve svolgerlo ora.
vincenzo de luca conferenza citta della scienza 1
«L’applicazione della sospensione, nell’elevato dubbio di legittimità costituzionale delle norme sopra indicate — spiega il Tribunale — comprimendo l’esercizio dell’elettorato passivo e del libero svolgimento del mandato elettorale, comporterebbe un danno non riparabile né risarcibile». E dunque, concludono i giudici, «si impone in attesa della decisione della Corte costituzionale, la sospensione cautelativa del provvedimento sospensivo».
Ma c’è di più. Nell’ordinanza il Tribunale dichiara non «manifestamente infondate» una serie di questioni di legittimità costituzionale sul testo. Dalla sospensione prevista in seguito a una condanna non definitiva, al fatto che avrebbe ecceduto i limiti della delega. Dalla retroattività con cui verrebbe applicata la legge, fino alla «disparità di trattamento» con i «parlamentari nazionali ed europei ai fini dell’incandidabilità, laddove non prevede, ai fini della sospensione, una soglia di pena superiore ai due anni».
VINCENZO DE LUCA - MATTEO RENZI
Questioni sulle quali ci sono già diverse pronunce. Sull’onda dello scandalo del «caso Fiorito», la legge Severino aveva infatti inasprito norme già esistenti che contemperavano il diritto a candidarsi in eguali condizioni con quello dei cittadini a selezionare la propria classe dirigente.
Dalla legge 55 del 19 marzo 1990 che aveva introdotto la sospensione per condanna non definitiva per delitti contro la pubblica amministrazione e l’incandidabilità dopo una condanna definitiva, fino alla norma 267 del 2000 che aveva aggiunto l’incandidabilità conseguente a condanna definitiva. E la giurisprudenza ha già affrontato queste questioni. A partire dalla retroattività. Il Consiglio di Stato nella sentenza 695 del 2013 ha ribadito l’orientamento della Corte costituzionale diretto a negare la natura penale che elimina il problema della irretroattività, vigente solo per le sanzioni penali. Ora fari accesi sulla Consulta.
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