DAGOREPORT – CHI È STATO A FAR TRAPELARE LA NOTIZIA DELLE DIMISSIONI DI ELISABETTA BELLONI? LE…
Goffredo De Marchis per “la Repubblica”
Alla fine, dicono gli ottimisti, Renzi non darà seguito al nuovo regolamento disciplinare contro i dissidenti del Pd. «Il codice penale» lo definisce Nico Stumpo, «uno strumento degno di Grillo» secondo Alfredo D’Attorre che rimanda alle espulsioni dei 5stelle, «una roba sovietica» dice l’altro bersaniano Davide Zoggia. Il capogruppo del Pd alla Camera Ettore Rosato non cerca lo scontro ma non si sottrae.
E conferma: lo Statuto del gruppo parlamentare cambierà, «ci vogliono delle regole per stare insieme», non succederà più che alcuni deputati non votino la fiducia senza che succeda alcunchè. Si rifà a un precedente illustre, Rosato: «Ai tempi della legge Mammì, Mattarella si dimise dal governo e poi voto la fiducia al nuovo governo Andreotti». Così si sta nel Pd. Oppure non si sta nel Pd. La terza via non esiste.
«Ho paura che qualcuno cerchi solo un pretesto per rompere», aggiunge soffiando sul fuoco. Il conflitto è rimandato a settembre. Ma il premier e Rosato, a dispetto delle critiche, non vogliono fare dietrofront. Si arriverà al giro di vite che prevede anche l’arma estrema dell’espulsione. Il capogruppo costituirà nei prossimi giorni un comitato di 10 deputati per stilare una bozza di Statuto. Saranno presenti i renziani e le varie minoranze. Dopo la pausa estiva, il testo verrà discusso da tutto il gruppo e infine, emendato e sviluppato, messo in votazione. Renzi pensa di aver fatto tutto il possibile per venire incontro alla sinistra Pd.
Come? Rimandando all’autunno il voto sulla riforma costituzionale aprendo così a modifiche, confermando tutti i presidenti di commissione parlamentari ribelli, compresi quelli che non hanno votato la fiducia (Epifani). Gesti distensivi, segnali di una volontà di tenere unito il partito. «Chi non li vuole cogliere pensa a prospettive politiche diverse», osserva Rosato. Ma la minoranza su questo punto sembra piuttosto incavolata. Roberto Speranza ha riunito senatori e deputati della sua corrente.
Si sono sentite parole pesanti, accuse forti a Renzi. «Proprio lui che ha manovrato i suoi per non far votare Marini alla presidenza della Repubblica...». Stumpo, esperto di regole e statuti, sentenzia: «Stiamo parlando di un comitato e di una bozza che ancora non ci sono. Ma dev’essere chiaro: tocca al segretario cercare un modo per stare insieme. Quello che ho sentito all’assemblea del Pd è un leader che parla solo alla sua fazione. Speriamo che cambi rotta».
Sta montando una reazione furiosa sulla stretta disciplinare. Massimo D’Alema resta in disparte: «Essendo fuori dal Parlamento, fortunatamente posso non occuparmene». Preferisce commentare altro: «Sulle tasse bisogna cominciare dai più poveri. Verdini in maggioranza? Confluisce attorno al Pd un mondo che fa riflettere e che dovrebbe essere all’opposizione». E proprio oggi a Roma Denis Verdini e Silvio Berlusconi a pranzo si vedono per la resa dei conti. Dopo le uscite di Fassina e Civati, la questione disciplinare rischia di alimentare di nuovo le voci di scissione. «Siamo al Partito sovietico, a Roma. Perché poi a livello locale c’è un’anarchia totale, mai vista prima», dice Zoggia.
«Persino il modo in cui il capogruppo Rosato ha gestito l’assemblea, con una sorta di ramanzina, quasi che la riconferma dei nostri esponenti in commissione fosse una concessione o uno scambio, ha dell’incredibile». Nella riunione con Speranza, molti hanno ricordato la vicenda Marini, altri hanno chiesto di consultare gli iscritti, altri hanno denunciato un clima invivibile nel Pd, dunque mettendosi con un piede fuori. «Per il momento non se ne va nessuno», precisa D’Attorre. Per il momento. «Basta con la storia di Marini, è una strumentalizzazione - ribatte Rosato - . Furono gli emiliani di Bersani a non votarlo».
Matteo Renzi e Massimo D Alema
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