DAGOREPORT – CHI È STATO A FAR TRAPELARE LA NOTIZIA DELLE DIMISSIONI DI ELISABETTA BELLONI? LE…
Luigi Ferrarella e Giuseppe Guastella per "Il Corriere della Sera"
E adesso? Adesso, che poi non potrà essere «adesso» ma dovrà essere tra almeno 90 giorni, visto che soltanto con il deposito della motivazione dei 7 anni a Silvio Berlusconi avverrà anche la trasmissione in Procura delle deposizioni di 32 testi ordinata dal Tribunale, tutti costoro saranno per forza indagati dai pm per l'ipotesi di reato di falsa testimonianza: non perché il Tribunale abbia in sé la facoltà di incriminare qualcuno, ma perché la trasmissione degli atti contenuta nella sentenza del Tribunale è una notizia di reato qualificata, e dunque in regime di obbligatorietà dell'azione penale imporrà ai pm di iscrivere nel registro degli indagati tutti e 32 i testi.
Solo in un secondo momento, in teoria anche il giorno dopo, i pm potrebbero chiedere l'archiviazione per tutti, il processo per tutti, oppure distinguere tra le posizioni.
Code procedurali di questo tipo non sono infrequenti nei dibattimenti delicati, basti pensare al processo per mafia al n. 3 del Sisde Bruno Contrada nel quale nel 1996 il Tribunale di Palermo trasmise gli atti per 24 testi tra i quali il generale dei carabinieri Mario Mori, l'ex capo della polizia Rinaldo Corona e una sfilza di prefetti.
La differenza è che in quel caso era stata la Procura a sollecitare il Tribunale a trasmetterle gli atti sui testi, dei quali peraltro gli stessi pm chiesero poi l'archiviazione nel 1999 e nel 2000. Nel processo Ruby, invece, nell'assenza di richieste formali dei pm (che pure a parole si erano più volte doluti del comportamento di alcuni testi), sono state le tre giudici Turri-De Cristofaro-D'Elia a ravvisare in 32 deposizioni il possibile reato di «chi, deponendo come testimone innanzi all'Autorità giudiziaria, afferma il falso o nega il vero, ovvero tace in tutto o in parte ciò che sa intorno ai fatti sui quali è interrogato», ed è perciò punibile con una pena da 2 a 6 anni.
Sotto accusa, infatti, i testi non rischiano di finire per aver asserito qualcosa che contrasti con l'accusa o non garbi ai pm. Il problema potrebbe piuttosto essere, ad esempio, nel caso di Roberta Bonasia aver negato di aver ricevuto soldi da Berlusconi quando le intercettazioni l'avevano invece colta a parlare dei «soldi ricevuti per un negozio»; o nel caso di Barbara Faggioli aver declassato a momento di rabbia verso l'amato Berlusconi la propria intercettazione in cui si lasciava scappare che (Berlusconi, ndr) «quando se la faceva addosso per Ruby chiamava e si ricordava di noi... adesso fa finta di non ricevere chiamate».
O ancora, nel caso del consigliere diplomatico Valentino Valentini e del caposcorta Giuseppe Estorelli, aver giurato d'aver chiamato il capo di gabinetto della Questura (Ostuni) e avergli poi passato Berlusconi, mentre Ostuni è categorico nel ricordare di essere stato chiamato solo da Berlusconi.
L'esito in questo genere di processi non è però mai semplice, e Berlusconi l'ha sperimentato in due occasioni. Intanto, anche la vicenda di David Mills cominciò come caso di possibile falsa testimonianza dell'avvocato delle società estere Fininvest, presto prescritta ma origine - dopo il ritrovamento della famosa lettera autoconfessoria al proprio commercialista e dopo l'interrogatorio inizialmente ammissorio dello stesso Mills - della ben più pesante contestazione di corruzione in atti giudiziari.
E uno scenario simile è temuto dallo staff del leader del Pdl, visti i cospicui pagamenti (persino stipendi mensili da 2.500 euro al mese) elargiti dall'imputato alle testi che hanno deposto a sua difesa. Ma Berlusconi ha anche un indiretto precedente a favore, prodottosi oltre 15 anni fa attorno al caso della sua segretaria storica Marinella Brambilla e del suo allora assistente Nicolò Querci.
I due, infatti, furono imputati nel 1999 di aver negato, nel processo a Berlusconi per le tangenti alla Guardia di Finanza, che l'8 giugno 1994 l'allora premier avesse avuto a Palazzo Chigi un incontro con l'avvocato Massimo Maria Berruti, finalizzato a depistare le indagini (Berruti ebbe poi 8 mesi definitivi per favoreggiamento) e provato per l'accusa dal ritrovamento di un pass di Palazzo Chigi.
L'altalena di verdetti si volse infatti in autentica saga processuale: condanna in primo grado a 2 anni mezzo nel 2001, conferma in appello nel 2002, annullamento in Cassazione, nuova condanna in appello a 1 anno e 4 mesi, e infine annullamento tombale in Cassazione nel 2008.
Il bello è che nel frattempo anche l'autista di Berruti era stato indagato per quello che aveva testimoniato proprio nel processo a Brambilla e Querci nato dal processo a Berlusconi e Berruti: ma il giudice di primo grado lo assolse nel presupposto che «la distanza temporale» potesse averlo «indotto in errore» sulle rilevate discrepanze.
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