VEDI OMAR QUANTO È BELLO - LA CASSAZIONE CONDANNA DEFINITIVAMENTE GLI AGENTI CIA CHE “DEPORTARONO” L’IMAM MILANESE - MA LA RICHIESTA DI ESTRADIZIONE NON ARRIVERÀ MAI

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Paolo Colonnello per "la Stampa"

Con la conferma della condanna di Jeff Castelli, ex capo della Cia in Italia, a 7 anni di reclusione e di altri due agenti del servizio servizio segreto americano (6 anni ciascuno) decisa ieri dalla Corte di Cassazione, cala quasi definitivamente il sipario sulla vicenda del sequestro di Abu Omar.

Restituendo alla storia una verità giudiziaria così composta: a rapire l'ex imam di via Quaranta il 17 febbraio del 2003, mentre era sotto indagine della procura di Milano per fiancheggiamento terroristico, fu un commando della Cia aiutato da alcuni elementi italiani come l'ex sottufficiale dei Ros Luciano Pironi, gli ex agenti del Sismi Pio Pompa e Luciano Seno e l'ex giornalista Renato Farina (attuale portavoce di Brunetta) condannati per favoreggiamento. Ma non (formalmente) dal Sismi.

I vertici del servizio segreto militare, ovvero il generale Niccolò Pollari e il suo vice Marco Mancini - condannati in appello a 9 e 10 anni di reclusione - sono stati prosciolti recentemente sempre dai giudici di piazza Cavour in seguito a una sentenza della Consulta che aveva fatto prevalere il segreto di stato sulle indagini della magistratura, tutelando così le attività dei nostri 007.

Come però ha riconosciuto il Consiglio europeo, l'inchiesta della magistratura milanese, coordinata dal procuratore antiterrorismo Armando Spataro con l'ausilio del capo della Digos milanese Bruno Megale, rimane per ora l'unica al mondo ad aver accertato, perseguito e condannato definitivamente, sebbene nessuno sia mai finito in carcere, l'esistenza e la grave pratica delle cosiddette «extraordinary rendition», ovvero i rapimenti indiscriminati di cittadini colpevoli di «sospetto» terrorismo.

Effetto grottesco e un po' cinematografico della «sporca guerra» scaturita dagli attentati dell'11 settembre che ha contrapposto il mondo dell'intelligence occidentale a quello, ben più subdolo e feroce, del terrorismo islamico. Travalicando, come era inevitabile, e così hanno stabilito le sentenze, i confini del lecito. «Non c'è chi non veda - scrivono i giudici - come il sequestro di persona con finalità come quella in oggetto», ovvero la tortura che subì Abu Omar una volta trasferito all'estero, «sia una violazione dei diritti fondamentali dell'uomo».

Dunque anche l'ex capo della Cia in Italia, ritenuto «la mente dell'operazione», e due suoi agenti, Betnie Medero e Ralph Russomando, la cui posizione era stata stralciata per un difetto di citazione (erano stati dichiarati «latitanti» anziché «contumaci»), assolti in primo grado per una presunta immunità diplomatica e quindi condannati in appello come autori materiali del sequestro, dovrebbero finire agli arresti. Come per altro gli altri 23 agenti Cia, sempre condannati in via definitiva a pene che vanno dai 7 ai 10 anni di reclusione nelle scorse sentenze.

Di fatto però i governi italiani hanno sempre evitato di dar corso alle richieste di estradizione negli Usa. Su tutto pesa poi il precedente della grazia concessa dal Presidente della Repubblica Napolitano a uno degli imputati, Jeff Romano, il colonnello responsabile della base Usa di Aviano da cui venne fatto partire verso la Germania e poi l'Egitto, Abu Omar.

Un gesto accolto con grande favore dagli Usa. Rimane un'ultima postilla giudiziaria, il ricorso alla Corte Europea dei diritti dell'Uomo avanzato da Abu Omar e famiglia contro l'Italia per violazioni dei diritti umani e abuso del segreto di Stato.

 

 

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