CHI L’HA VISTO? ERA DIVENTATO IL NOSTRO ANGOLO DEL BUONUMORE, NE SPARAVA UNA AL GIORNO: “QUANTE…
Francesco De Dominicis per "Libero"
«Cucchiani non si preoccupi: se Intesa non paga le sue sei mensilità provvederemo noi a organizzare una colletta tra lavoratori bancari». Per certi versi c'era da aspettarselo: siamo arrivati allo sfottò. Quello dei sindacati nei confronti del vertice di IntesaSanpaolo. Perché la decisione di Ca de' Sass di assicurare altri sei mesi di stipendio all'ex amministratore delegato, Enrico Cucchiani, è paradossale.
Una scelta che rispetta il contratto, come si è affrettata a precisare ieri la banca. Ma che stride, eccome, se si guarda sia alla crisi economica sia alla situazione interna dei lavoratori di Intesa. Fatto sta che dopo la levata di scudi di Fisac Cgil e Uilca di lunedì, ieri è scesa in campo la Fabi. Con il segretario generale, Lando Sileoni, che ha preso di mira, ironizzando, la vicenda Cucchiani, rimosso domenica e rimpiazzato dal direttore generale vicario, Carlo Messina.
Ad aver fatto infuriare le sigle è la prosecuzione del rapporto di lavoro dell'ex ad. Al quale sono stati promessi altri sei mesi di stipendio, in modo da garantirgli il raggiungimento dei requisiti per l'età pensionabile. Indiscrezioni non confermate ufficialmente, ma che hanno creato comunque non poco malumore fra i lavoratori della banca.
«Ci sono situazioni occupazionali drammatiche» spiegava ieri una fonte interna, ricordando pure, fra rabbia e incredulità , le migliaia di esuberi e qualche esodato ancora nel limbo della legge Fornero a cui, di fatto, viene presentato il conto dello stipendio di Cucchiani. Quella dell'ex alto dirigente Allianz è una «posizione blindatissima» si mormora nei corridoi del primo istituto di credito del nostro Paese. E c'è pure chi fa riferimento al suo passato tutto tedesco, associando il suo arrivo in Ca de' Sass come una sorta di favore dell'ex premier italiano, Mario Monti, alla cancelliera tedesca, Angela Merkel.
La faccenda è complicata e sta assumendo le caratteristiche di un intrigo che pare interessare le diplomazie internazionali. Financo Edward Lutwak ha voluto dire la sua. Secondo l'economista e politologo americano, Cucchiani sarebbe stato costretto a lasciare Intesa perché «prestava i soldi agli imprenditori e non agli amici», voleva «internazionalizzare» la banca e invece hanno prevalso «metodi italiani».
Il riferimento, non esplicito, è alla visione di «banca di sistema» più gradita al presidente del consiglio di sorveglianza, Giovanni Bazoli. La banca ha provato a difendersi, brandendo il contratto di assunzione. Come dire: era tutto previsto e già messo nero su bianco.
Ne emerge, tuttavia, un quadro a tinte fosche. Secondo Sileoni questa decisione è stata presa «senza avere il minimo rispetto per l'intelligenza delle persone» mentre sarebbero «indispensabili comportamenti e decisioni in linea con l'attuale e delicatissimo momento di crisi.
Predicare bene e razzolare male fa perdere quel minimo di credibilità che il sistema bancario ancora pensa di avere». Oltre alla prosecuzione del rapporto di lavoro, la polemica riguarda anche la super buonuscita intascata da Cucchiani: 3,6 milioni di euro che, sommati alla busta paga, diventano 7 milioni per un incarico di appena 21 mesi. Vallo a raccontare a chi è stato prepensionato o a chi ha accettato di lavorare il sabato o la sera.
La bufera è destinata a proseguire. Gli occhi sono puntati su Messina. La sua «promozione» sarebbe stata caldeggiata, in particolare, da Francesco Micheli. Al chief operating officer, dicono in banca, Messina si rivolge addirittura con l'appellativo di «maestro». Segno di grande deferenza, confermato dal fatto che sono i soli, fra i top manager del gruppo, a darsi del lei.
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