
DAGOREPORT - L'ARDUO COMPITO DI SERGIO MATTARELLA: FARE DA ARBITRO ALLA POLITICA ITALIANA IN…
Ernesto Menicucci per il "Corriere della Sera"
L'attacco, via Twitter è forte: «Il giornalismo italiano fa schifo. Prime pagine per l'assoluzione di Vendola, delle brevi per me. Dopo sette anni di fango... Avanti a testa alta». L'ha presa male, Francesco Storace, leader de «La Destra». Non tanto per la sentenza sul governatore della Puglia quanto per quelli che, secondo lui, sono «due pesi e due misure sulla comunicazione».
Qualche giorno fa, infatti, l'ex Epurator è stato assolto in secondo grado per la vicenda «Laziogate», lo scandalo che nel 2005 gli costò prima la sconfitta alla Regione Lazio (Storace era presidente uscente, con An) contro Piero Marrazzo e poi il posto da ministro della Salute nel governo Berlusconi.
Storace, insieme ad alcuni suoi collaboratori, venne accusato di spionaggio ai danni di Alessandra Mussolini attraverso incursioni indebite nell'anagrafe del Comune di Roma. Condannato in primo grado ad un anno e mezzo per «concorso in accesso abusivo a un sistema informatico», Storace è stato assolto dalla Corte d'Appello perché «il fatto non sussiste».
La notizia è stata trattata ampiamente dalle cronache locali, meno da quelle nazionali. E Storace se l'è presa: «Capisco che Vendola corre per le primarie del centrosinistra e io sono fuori dal Parlamento. Ma se passa questo concetto, il cittadino viene seppellito: democrazia e diritti spariscono».
E ricorda il caso personale: «Gli ultimi dieci giorni della campagna elettorale di 7 anni fa furono terribili, un vero martellamento, e segnarono quelle elezioni: contro Marrazzo, persi di centomila voti. Il Laziogate fu decisivo. Poi, un anno dopo, alla notizia dell'indagine su di me, mi sono dimesso da ministro: ero un mostro, un criminale. Rischiavo anche la galera». Morale della favola? «La responsabilità dei magistrati serve, ma per i cittadini, non i politici. Noi abbiamo altre armi: interviste, manifesti, comizi».
Storace, adesso, guarda avanti. Si candida di nuovo alla Regione? «Ho il diritto a mettere il mio nome sul tavolo. Il problema è: chi comanda nel Pdl? Se quando c'è la data manca ancora il candidato del centrodestra, allora mi candido io». Sembra la strategia applicata da Emma Bonino col centrosinistra, due anni fa: «Spero in un risultato migliore... In Regione deve andare chi sa di cosa parla e mi atterrisce Zingaretti (in campo per il Pd, ndr) secondo il quale Bondi deve rimanere commissario alla Sanità , la tecnocrazia è rinuncia alla sovranità popolare». La sfida è lanciata.
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